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Un gioiello dal passato

 

 di Fabrizio Moscè

 

 

UN PASSATO DA SCAVARE - Cosa sappiamo riguardo gli albori della città? In realtà poco o niente. Nessuna fonte storica certa, solo ipotesi che coincidono unicamente in un’origine alto medievale ma che poi divergono sul resto. Chi fondò veramente Fabriano? Gli abitanti degli ex municipi romani di Attidium e Tuficum oppure i Longobardi? Forse non lo sapremo mai. Se a questo aggiungiamo l’incertezza derivata dal periodo romano, durante il quale la conca di Fabriano sembra non aver ospitato nuclei abitati di rilievo, l’idea che spesso erroneamente ne consegue è che nelle epoche precedenti la fondazione medievale della città il luogo sia stato una sorta di terra di nessuno, un limbo in cui la civiltà umana trovò addirittura difficoltà ad attecchire. Niente di più sbagliato, la conca di Fabriano in età antica fu sede di una delle più fiorenti civiltà italiche, quella degli umbro-piceni.
 
DALL’OSSO E LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE – Era il 1915 quando l’archeologo emiliano Innocenzo Dall’Osso, uno dei più grandi studiosi delle antiche civiltà italiche preromane, individuò a Santa Maria tre tombe a tumulo con una ricchezza di corredi tale da spingerlo ad affermare che di quel periodo (stiamo parlando del VII secolo prima di Cristo) “un corredo così grandioso non si è finora rinvenuto in Italia”. In particolare fu il tumulo nr.3 a restituire reperti eccezionali, tumulo allora ricadente sotto una stradina vicinale che oggi appare ben diversa (vedi foto). Non solo, durante la permanenza a Fabriano l’archeologo ebbe modo di condurre nuovi fruttuosi scavi anche in un’altra estesa area cimiteriale umbro-picena, rinvenuta casualmente nel 1897 in zona ex Mattatoio-Sacramento. Scoperte entusiasmanti che portarono nuova luce ad un periodo oscuro e che avrebbero dovuto far riscrivere parte della storia locale.
Ma come spesso succede le novità rivoluzionare anche in ambito storico fanno fatica ad affermarsi perché ostacolate dalle precedenti convinzioni dure da scalfire. Gli scavi di Dall’Osso evidenziarono un passato poco romano, al contrario ben caratterizzato da una civiltà più antica; ciò inevitabilmente andò a cozzare con il particolare interesse per la cultura classica tipico dell’epoca, durante la quale peraltro, si tentava di ricondurre lo stesso toponimo Fabriano ad un prediale di origine latina derivato dal nome proprio Faberius, presunto gentilizio romano proprietario terriero di un fondo nella piana fabrianese. Le evidenze emerse dagli scavi dell’archeologo quindi non furono comprese pienamente e per certi versi credo snobbate in quanto ritenute appartenenti ad una “storia minore” del territorio.
Tornando alla necropoli di Santa Maria in Campo, Dall’Osso lasciò il sito ipotizzando un’area di interesse molto più estesa di quella ispezionata; purtroppo i tanti impegni e l’età ormai avanzata non gli permisero di tornare ma la deduzione fu confermata successivamente da ulteriori scavi, rilievi fotogrammetrici e prospezioni geofisiche. Oggi si stenta a credere che l’area archeologica di Santa Maria ricada in una zona così antropizzata, tanto che viene naturale chiedersi quante delle tombe ipotizzate da Dall’Osso siano state distrutte o celate nel corso della successiva realizzazione dei tanti edifici. Di seguito concentreremo l’interesse su un particolarissimo oggetto emerso appunto dalla regale tomba nr.3.
 
L’AFFIBBIAGLIO D’ARGENTO CHE INCANTA - Innanzi tutto cosa è un affibbiaglio? Possiamo definirlo una fibbia ante litteram, ovvero un oggetto composto da due parti il cui aggancio permetteva di chiudere le estremità di una veste o di una cintura. Emerse dalla tomba nr.3 insieme ad una moltitudine di altri oggetti fra i quali 2 carri, scudi, elmi, armi, fibule, vasellame metallico ecc.. Un corredo funebre talmente ricco da far pensare ad un principe o comunque ad una figura di altissimo rango sociale. Di tutti gli oggetti però è il piccolo affibbiaglio (misura neanche 6 cm.) a colpire maggiormente per la squisitezza della lavorazione metallica a filigrana, la struttura a pettine ricavata da un grosso filo d’argento ripiegato, le estremità del cilindretto che evolvono in due teste feline, animali che probabilmente rappresentano il coraggio, la forza e la nobiltà; insomma un lavoro incredibile prodotto dalle mani di un abilissimo orefice 2700 anni fa! In passato questi oggetti erano indossati non tanto per vanità quanto per manifestare la propria importanza sociale, per questo quasi sempre erano preziosi, pregni di simbologia e significato, talmente legati al proprietario da accompagnarlo anche nel suo ultimo viaggio, come in questo caso. Il reperto è conservato al Museo Archeologico di Ancona.



articolo pubblicato su "L'Azione" del 30 ottobre 2021


 

 

 

 

 

 

 

 

Necropoli di S.Maria in Campo

Tomba nr.3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innocenzo Dall'Osso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Affibbiaglio in argento

 

 

 

 

 

 

 

 


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