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L'età del ferro ... battuto

 

 di Fabrizio Moscè

 

 

Chi furono i primi fabbri e quando cominciò veramente l’arte del battere il ferro che rese la città famosa nel mondo allora conosciuto? In realtà nella conca di Fabriano avremmo sentito risuonare i colpi sull’incudine molto, moltissimo tempo prima delle note raffigurazioni del fabbro sulle formelle e addirittura prima della fondazione di “Castelvecchio”. La campagna di scavi archeologici condotta nel 1915 dall’archeologo Innocenzo dall’Osso infatti, oltre a portare alla luce le necropoli di Santa Maria in Campo e dell’area ex-Mattatoio/Foro boario, permise di individuare in contrada Ponte Sacramento buona parte di un nucleo abitato umbro piceno dell’età del ferro (I° millennio prima di Cristo). Già perché contemporaneamente ad altri popoli del mediterraneo, nel nostro territorio fu la civiltà umbro picena a sfruttare al meglio una scoperta “chimica” destinata a diventare rivoluzione culturale. Ma cosa fecero di così eclatante questi uomini? Semplicemente sostituirono l’uso del bronzo con quello del ferro nella produzione di utensili e armi. Quasi sempre come sappiamo, le rivoluzioni si sviluppano a partire da cose e concetti che oggi sembrano normali per non dire banali, ma che all’epoca rappresentarono innovazioni del tutto radicali.
 
LA RIVOLUZIONE DEL FERRO - Alcune particolari caratteristiche del ferro contribuirono a renderlo un elemento veramente rivoluzionario. Innanzi tutto era di facile reperimento se paragonato al bronzo usato precedentemente, il quale essendo una lega composta da elementi (rame e stagno) di cui il territorio italiano è povero, costringeva le civiltà italiche a dipendere dai popoli in grado di fornirli. Il ferro al contrario poteva essere estratto “in casa”, anche nell’Appennino umbro marchigiano sottoforma di minerale ferroso contenuto in strati e livelli delle rocce calcaree. Ma allora verrebbe da chiedersi, per quale motivo l’uso del ferro non si diffuse prima? E’ soltanto una questione “tecnica”; il ferro ha un punto di fusione molto più alto del bronzo e quindi necessitò di un notevole avanzamento tecnologico dei forni e dei processi di lavorazione. All’inizio lame e utensili di ferro erano di scarsa qualità, privi dell'elasticità che permetteva di assorbire l'urto senza piegarsi. Solo successivamente i fabbri compresero che dall'associazione di carbonio e ferro, operazione questa ottenuta empiricamente aggiungendo carbone al minerale ferroso nel corso del processo di fusione, si poteva ottenere un prodotto decisamente migliore: l'acciaio. In realtà non sappiamo di preciso dove e quando si sviluppò questo processo definito di “carburazione” del ferro, ma è chiaro che gli umbro piceni, forse per la loro fitta rete di contatti con altri popoli, furono fra i primi ad utilizzarlo. Il miglioramento delle caratteristiche fisiche era poi ottenuto dal trattamento di tempra, che in soldoni consiste nel brusco raffreddamento dell’oggetto per immersione in acqua, olio o addirittura urina. Così trattati armi e utensili ottenevano maggiore resistenza meccanica rispetto a quelli raffreddati all’aria lentamente.
Purtroppo il clima umido dell’Appennino, i terreni poco drenanti e spesso impregnati d’acqua non hanno creato condizioni favorevoli alla conservazione del ferro, innescando processi di ossidazione che nei casi estremi hanno quasi totalmente dissolto gli antichi manufatti; sono quindi sostanzialmente pochi gli oggetti arrivati a noi in buone condizioni.
 
LE ARMI UMBRO PICENE – I siti archeologici del territorio hanno restituito oggetti di vario utilizzo costituiti da questo primo acciaio; lunghe punte di lancia e giavellotto, asce, coltelli, utensili agricoli. La maestria degli antichi fabbri però, si espresse maggiormente nella realizzazione della tipica spada falcata del V secolo avanti Cristo. Definita anche “machaira”, o “scimitarra picena”, ha un rapporto fra spessore e lunghezza compatibile solo con l’acciaio; è infatti lunga oltre 70 cm, di poco spessore, ricurva, con il tagliente sul lato concavo. Un’arma micidiale che è ormai divenuta un oggetto iconico di questa antica civiltà.

 

Machaira umbro-picena proveniente dalla necropoli di Malpasso, Gualdo Tadino

 

Come direbbe qualcuno a questo punto una domanda sorge spontanea, una domanda che in qualche modo diventa anche il pretesto per lasciare aperto il finale di questo breve racconto: chissà che la leggendaria fama dei fabbri locali non possa essere nata e consolidata proprio in questo periodo, nell’età del ferro, mantenuta nei secoli e successivamente materializzata nel mito medievale di Mastro Marino?



articolo pubblicato su "L'Azione" del 13 novembre 2021


 

 

 

 

 

 

 

 

Località Ponte Sacramento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tomba nr. 1 Santa Maria in Campo,

punta di lancia e giavellotto

 

 

 

 

 

 

 


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