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Il primo viaggio

di San Francesco a Fabriano

 

di Federico Uncini

 

Tra gli anni 1208 e 1209 S.Francesco d’Assisi iniziò il suo apostolato nelle città dell’Italia centrale. Il suo primo viaggio documentato fu intrapreso verso la Marca Anconetana, come riportano gli scritti “La leggenda dei tre compagni” e “l’Anonimo Perugino”.

La leggenda riporta così il racconto del viaggio: Francesco, uomo di Dio, non avendo dove abitare, con i suoi compagni (Bernardo e Pietro Cattani), si diresse verso una povera chiesa abbandonata, detta S.Maria della Porziuncola. Ivi costruì una casetta e dimorarono insieme qualche tempo. Alcuni giorni dopo venne in quel luogo un uomo di Assisi, chiamato Egidio. Mosso da grande devozione, supplicò in ginocchio l’uomo di Dio di riceverlo in sua compagnia. Vedendo che era molto pio e devoto e pieno di grazia celeste, come poi si dimostrò, Francesco l’accolse con grande allegrezza. Questi quattro uomini, uniti nella gioia e nella pace dello Spirito Santo, non tardarono a separarsi per il maggior profitto di ciascuno. Il beato Francesco prese con sé fra Egidio e si recò nella Marca di Ancona; gli altri due si diressero verso l’altra parte. Andando dunque verso le Marche, Francesco ed Egidio si rallegravano nel Signore; e il Santo cantava a voce alta e chiara le lodi sacre in lingua francese e benediceva e glorificava la bontà dell’Altissimo. Erano pieni di gioia come se avessero scoperto un tesoro nel campo di Madonna Povertà, per amore della quale avevano rifiutato tutti i beni temporali come immondezze. Il Santo disse a fra Egidio: ”La nostra religione è simile a un pescatore che getta la rete e piglia una grande quantità di pesci. Rituffa l’acqua i piccini e ripone nel cesto i più grandi”. E con ciò predisse che i suoi frati si sarebbero in breve moltiplicati. Quantunque l’uomo di Dio non predicasse ancora al popolo, tuttavia, quando passava per le città e i castelli, non mancava di esortare gli abitanti ad amare il Signore e a far penitenza dei peccati. Fra Egidio diceva agli ascoltatori che erano ottimi i consigli che dava loro Francesco. Coloro che li udivano, si chiedevano: ”Chi sono costoro e cosa mai dicono ?” Era infatti, allora, l’amore di Dio quasi dovunque spento ... Intorno a quegli uomini evangelici discordavano i pareri. Alcuni li dicevano stolti o ubriachi; altri rispondevano che non potevano dirsi stolti coloro che insegnavano tali cose. Uno osservò: ”o sono uomini tutti di Dio, o stolti fuor di misura, poichè vivono miseramente, sono coperti di rozzi panni, camminano scalzi e si nutrono di poco cibo”. Sebbene alcuni fossero presi da riverenza, nessuno tuttavia osava ancora seguirli a motivo del loro genere di vita; le giovanette, vedendoli di lontano, scappavano per timore di qualche malefico. Dopo aver percorso quella provincia, se ne ritornarono al detto luogo di S.Maria.

L’altra fonte che narra il viaggio di S.Francesco nelle Marche è l’Anonimo Perugino, facente parte del codice capponiano della biblioteca Vaticana della fine del 1300, decritto in dialetto umbro “Como sancto Francesco et lo beato Egidio andarono per la Marcha de Ancona”. “Andando una volta sancto Francesco con frate Egidio per la Marca de Ancona, in quelli tempi che non ce erano anco presi lochi, et andando ad oratione appresso ad una sepe, conciossia cosaché in quillo tempo, in quelle parte, multi animali se morivano et li pastori, vedendo quisti homini cusì despecti et dissonanti et quello che facevano, dicevano intra loro: «Ecco li malefichi, che incantano li bovi et le pecore nostre, et cusì li fanno morire». Et iectavano ad essi le pietre. Et essi nulla curandose de ciò, ancho el desideravano. Et altri mammoli, quando vedevano quisti per la via, diceva l'uno l'altro; «Ecco el bacco, ecco el bacco», et fugevano. Ma uno diceva: «Non è, misero captivello». Et allora disse frate Egidio ad sancto Francesco: «Como è, che quillo mammolo ha discretione?». Et inde ad pocho tempo, essendo li frati cognosciuti et honorati dalla gente, disse sancto Francesco al beato Egidio: «Gita è via la nostra gloria ». Anco diceva spesso sancto Francesco a li soy frati che lo vero frate menore non deve stare multo che non vada per la elemosyna ; et quanto è piò nobile, tanto deve essere più prompto, adiogendoci uno tale exemplo. Era in uno certo locho un tale frate et quale per la elemosyna may non voleva andare, et a la mensa era quasi sempre el primo. Et vedendo sancto Francesco che quisto era amico del ventre, et tolleva la parte et substantia della fatiga et del fructo delli frati, si li disse: «Va per la via tua, frate mosca! peroché tu magni el sudore delli mey frali, et nelle opere de Dio tu si' ociosu, et si' simile al frate apone; el quale non vole supportare, et né durare la fatiga delli altri api, che continuamente se affatigano; ma vole esser sempre el primo ad magnare el mèle». Per la qual cosa, cognoscendo quello frate essere compreso el mundo, che non haveva ancho abandonato, se retornò al seculo, et oscette fore della religione. Et perché ello non voleva andare per la elemosyna, et fare le altre opere virtuose, non meritò poy esser frate menore. Ancho sancto Francesco con li soi compagni da quillo dì che Christo li revelò che dovessero vivere secondo la forma del sancto evangelio, con summo studio se studiò ad lettera de observare. Unde prohibì che la sera non se mettesse in l'acqua calda lo legume ad mollo per lo dì sequente ma sì bene depo mattutino. Et anco non sopportava et non voleva nelle ciptade, che se adcactasse più che quello che era necessario ad loro per un dì. Diceva anco il nostro servo di Dio Francesco ai suoi compagni: «Tre cose particularmente recomando ad voy, cioè la sancta simplicità, contra allo desordenato appetito della scientia; secundo, la sancta oratione, la quale el diavolo multo se sforza de tollerla; terzio, lo amore della povertà». Quindi diceva: «Non dico solamente la povertà, la quale è amabile, ma lo amore de epsa». “Anco soleva dire sancto Francesco alli soi frati: «Quillo serria vero frate menore, el quale havesse la vita de frate Bernardo, el quale hebbe perfectissimamente l'amore della sancta povertà; la purità de frate Leone; la curialità de frate Angelo; la persona et sensu naturale con lo bello et devoto parlare de frate Masseo; la mente elevata in contemplatione de frate Egidio; la virtuosa et continua oratione de frate Ruffino, che, ciò che faceva, sempre orava; la patientia de frate lunipero; la forteza de corpo de frate Iohanni de Laude; la compunctione de frate Peregrino; la solitudine de frate Lucido el quale immediate che li piaceva de stare in uno locho, se partiva dicendo: «Non havemo qui ciptà permanente, sed in futuro etc.». Anco per la fervente devotione de li populi frequentemente se offeriva ad sancto Francesco pane et altre cose da magnare, accioché le benedicesse. Le quale poi essendo reservate per devotione, mirabilmente curavano li corpi delli morbi, et altre varie infirmitadi. Diceva ancora el fedele servo de Dio sancto Francesco alli soi frati, parlando della sancta obedientia: «Quando el subdito è contempto, o no, della obedientia ad sé inposta dal suo prelato, deve pregare Dio, accioché esso, el quale sa et cognosce ogni cosa, che amaestri et spiri el suo prelato, che ciò che è meglio et più utile ad laude de Dio, et ad utilità sua, si li faccia commandare. Et chi questo fa veramente, se pò chiamare vero servo de Dio. Ancora diceva sancto Francesco: «Nulla excusatione se pò fare senza peccato. Et advengaché in quella hora non habbia commessa colpa, forse che altre volte ha offeso in occulto la maiestà divina in alcuno modo del quale non è stato correpto, etc.». (Tratto da: Vita del Povero et humile servo de Dio Francesco, dal Ms. Capponiano – Vaticano 207).

Una testimonianza tarda del viaggio di Francesco nelle Marche ci viene da La Franceschina, testo volgare Umbro del sec. XV scitto dal P. Giacomo Oddi di Perugia, Edito per la prima volta nella sua integrità dal P.Nicola Cavanna O.F.M., Tipografia Porziuncola, S. Maria degli Angeli (Assisi) MCMXXIX, tomo I, pp. 54 – 57.

«Unde nel principio della religione, quando non erano se non quatro frati, cioè, santo Francesco, frate Bernardo da Quintavalle, frate Pietro Cathani et frate Egidio, et essendo già quisti quatro santi frati in spirito et amore de Dio congregati nel piano d’Asisi, in una selvecta in loco molto soletario, apresso ad uno fiumecino chiamato Rigotorto, non avendo casa né chiesia, né nulla latra cosa, [ma] solamente una capannecta de certe frasche, facta tanto quanto ce se potevano al tempo de le liogie apomectere, vivendo de elemosine accactate ad uscio ad uscio per l’amore de Dio. Et essendo così adunati quisti quatro nello infocato amore de Dio. Et essendo così adunati quisti quatro nello infocato amore de Dio, yspirati da la carità de Dio, per più suo honore et adjutorio de la salute de l’anime, compresi dal zelo et fervore de la carità de Dio, santo Francesco aconpagnò frate Bernardo et frate Pietro Cathani et mandolli in una parte del mundo al modo apostolico, et esso piglione frate Egidio per suo compagno, et andò in verso la Marcha d’Ancona, con proponimento de predicare non formalmente in modo de predicatione, ma confortere et animare la gente con parole confortative et boni exempli de la vita loro. Et andando così in verso la Marcha cum alegrezza et jubilo tucti infocati, santo Francesco andava cantando le laude de Dio in lengua franciosa, laudando et benedicendo Dio. Et quando intrava per le ciptà et per le castella, confortava tucti che amassero et temessero Dio, et facessero penitentia de li loro peccata. Frate Egidio suo conpagno confortava et amoniva li auditori che li credessero, dicendo: Fate quello che ve conseglia costui, però che è bono homo, et recòrdave el vostro bene et la vostra salute; sì che faceti ogne bene che potete per salvare l’anime vostre. Et quilli che li odiavano, decevano intra loro: Que parole sonno queste che dicono costoro?» (cf. Pisano, AF IV, p. 43 s; Tre Compagni, c. 9).

La prima città delle Marche visitata dai due frati fu Fabriano, legata dall’amicizia che aveva il Santo con i compagni d’arme avuti durante il conflitto tra Assisi e Perugia e nella prigionia dopo la battaglia di Collestrada (a.1203). L’arrivo a Fabriano di S.Francesco non fu esaltante, accompagnato da frate Egidio, i due poverelli furono scherniti e allontanati dalle genti che incontravano lungo i sentieri diretti verso la città marchigiana. Vestiti come mendicanti apparivano secondo le superstizioni di allora degli iettatori e spesso furono anche maltrattati. Forse quel primo viaggio del 1209 fu un fallimento.

S.Francesco arrivò a Fabriano, probabilmente dall’alta valle del Giano e giunto alle porte della città, trovatosi in difficoltà con la gente, chiese notizie dei suoi amici Gilberto, Girardo, Todino, Gentiluccio e Gelfolino. Al nominare quei nobili, i due furono accompagnati nell’abitazione di Donna Maria madre di Gilberto e Girardo, vedova del nobile Alberico di Gentile.

Come racconta il beato Venimbeni nella “Cronica Fabrianensis” il Santo fu accolto da Donna Maria nella contrada di Valpovera, situata nei pressi della piazza alta del Comune tra le odierne chiese di S.Filippo e S.Biagio. La nobildonna vedendo S. Francesco in quelle condizioni probabilmente fece resistenza, interpretando che il mendicante era venuto a chiamare i suoi figli per altre strane avventure. Udendo le parole del Santo, la donna capì che le cose erano cambiate e fu colpita dal pensiero di S.Francesco. L'ospitò con grande ardore nella sua abitazione, nella valle in cui dopo alcuni anni sorgerà il convento francescano delle Logge, predetto da S.Francesco in quel giorno dell’incontro con la nobildonna. I colloqui tra loro furono molto calorosi e tra i ricordi del passato S.Francesco espose la nuova vita da lui intrapresa che affascinò e toccò i nobili Fabrianesi, tanto che nel 1234 Gilberto, Girardo, Gelfolino ed altri donarono una terra a Cantiro per la fondazione del primo convento francescano a Fabriano.

Saranno proprio alcuni suoi amici a donare, dopo la sua morte (a.1226), un terreno vicino a Fabriano, per la fondazione del primo convento francescano com’è riportato nell'atto del 1234, stipulato nel chiostro di S.Venanzo: "... i signori Rigotto, Fidesmido, Gilberto, Girardo di donna Maria, Gelfolino e Pietro di Gelfuccio, per la salute eterna delle loro anime, hanno ceduto e fatto dono a fra Pietro de Vercelli ogni loro diritto, presente e futuro, sul terreno posto nei dintorni di Cantiro per costruirvi una casa per i frati Minori... i cui confini sono i seguenti: Gelfolino da un lato, Morico predetto dall’altro, dal terzo un fossato, dal quarto Buonaguida da Firenze ed altri confinanti se ve ne sono. Ed hanno promesso di mantenere le cose predette e di non contravvenire alle stesse sotto pena di 50 lire ravennati e anconetane, designando e delegando don Raniero quale investitore del terreno nella persona del predetto fra Pietro, senza che, tuttavia, per la detta" concessione, sia diminuito il canone [di affitto] che i detti signori devono [all'abate e ai monaci ] di S.Vittore.

Parimenti, nello stesso giorno e luogo, dinanzi al signor Vescovo e don Migliorato Ruggero, fra. Silvestro e don Raniero di Civita, don Morico, Morico, abate di S. Vittore alle Chiuse, presenti e consensienti i suoi frati don Rolando, don ... e don Giovanni monaci , e don Basilio converso e don Monaldo, Raniero Maglio e Buccello patroni del detto monastero di S.Vittore - ha dato il suo assenso alla detta concessione e promesso di considerarla come avvenuta sotto pena di 50 lire con la condizione che, se i frati lasciassero il detto luogo, il terreno e ogni diritto e proprietà su di esso rimangono in libero e assoluto possesso del detto monastero. Oratore notaio scrisse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S.Maria di Valdisasso,

luogo visitato da S.Francesco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le due lapidi poste in contrada Valpovera

a ricordo della venuta del santo

 


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