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Fonti sul Bassomedioevo Fabrianese

a cura del Prof. Francesco Pirani


 

  1. Il commercio della Carta

 

Un’annotazione di Ludovico di Ambrogio sul commercio della carta (1365).

 

Originale: Archivio storico comunale di Fabriano, Vol. 1351, c. 30r.

Edizioni: G. Castagnari - N. Lipparoni, Arte e commercio della carta bambagina nei libri dei mercanti fabrianesi tre XIV e XV secolo, in “Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Marche” 87 (1982), pp. 185-222.

 

Al nome de Dio. Memoria che Ardinghi de’ Ricci e compangni di Perugia ce scrisse per una lettera fatta adì 25 di novembre, avemola adì 29 del mese, per la quale ce dicìa che noi comparassimo per lui balle 10 di carta reale fino e balle 2 di fioretto e mandamole a Fano ancho co le risme di carta grande d’archo per Peruscia. Anche ci scrisse per una lettera fatta adì 30 di novembre, ricevemola adì 3 di dicembre, per la quale ce dicìa che comparassimo sopra a le charte sopraditte balla 10 di carta reale fine e mandassimo ad Fano.

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Scheda di approfondimento - Un mercante fabrianese fra Tre e Quattrocento: Ludovico di Ambrogio

 

Quella di Ludovico di Ambrogio, fabrianese, è la figura più emblematica di un uomo che nel tardo medioevo italiano seppe costruire una immensa fortuna economica attraverso il commercio della carta e la gestione di gualchiere. Ed è anche uno dei pochissimi personaggi la cui vicenda le fonti d’archivio consentono di seguire in un arco cronologico ampio: l’attività di Ludovico è infatti testimoniata attraverso i suoi libri contabili e le sue memorie, che registrano accuratamente le vicende del mercante fabrianese dalla metà del Trecento all’anno 1417. Ludovico era un uomo d’affari dagli interessi sorprendentemente ampi: i dati quantitativi relativi alle forniture di carta, così come emergono dai suoi libri contabili, lo fanno ritenere molto probabilmente il più ricco e intraprendente mercante di carta di tutto il centro Italia. Ma i suoi interessi commerciali non si limitavano soltanto a questa merce: egli trattava infatti anche metalli, tessuti e soprattutto lana; smerciava inoltre pellami, spezie e cereali.

 

In qualità di imprenditore Ludovico, oltre a gestire varie gualchiere per la carta anticipando denaro con forti interessi ad alcuni maestri cartai alle proprie dipendenze, rivolgeva contemporaneamente i suoi interessi anche agli opifici per la seta: nel 1398, ad esempio, affidava a vari operai, fra cui molte donne, il lavoro di 2.000 libbre di finigelli freschi perché li trasformassero in cascami di seta; lo stesso anno anche le “suore della Vergine” di Fabriano lavoravano la seta per suo conto, producendo nel solo quadrimestre giugno-settembre 118 braccia e 5 once di seta fine, pagata 14 soldi e 4 denari il braccio. Agli interessi verso il mondo dei traffici e del lavoro artigianale Ludovico associava inoltre un’oculata gestione dei beni immobili accumulati: nei primi anni del Quattrocento, infatti, aveva alle sue dipendenze un fattore che curava gli interessi del mercante nelle sue terre stipulando contratti di affitto e di mezzadria e provvedendo all’acquisto e alla vendita di bestiame. La molteplicità di interessi di Ludovico esprime da un lato il suo dinamismo e lo spirito di iniziativa mentre dall’altro si armonizza con la figura tipica del mercante medievale, i cui interessi raramente si limitavano ad un unico settore produttivo ma spaziavano spesso dai commerci di vari prodotti all’imprenditoria artigianale, dal prestito di denaro all’investimento fondiario.

 

Nel settore del commercio della carta Ludovico riuscì a tessere una fitta trama di relazioni con le più importanti compagnie mercantile dell’Italia centrale, garantendo uno smercio del prodotto fabrianese in molte regioni d’Europa. Il più antico dei suoi registri contabili, che attesta l’attività del mercante dall’aprile 1363 a tutto il 1366, presenta per ciascuna pagina una intestazione diversa a seconda della compagnia con cui Ludovico era in rapporti di affari, registrando accuratamente le quantità e la qualità della merce spedita. Nei registri venivano altresì citati i nomi dei committenti e dei loro fiduciari o rappresentati: tre delle compagnie con cui Ludovico intratteneva rapporti d’affari avevano sede a Perugia, cinque a Firenze, una a Fano, una a Talamone, una a Genova, due ad Ancona, una a Lucca, cinque a Pisa, quattro a Siena, una a Rimini e una a Città di Castello. Ludovico dunque era in contatto con i mercanti che avevano in mano le redini del commercio internazionale e fungeva da intermediario nella distribuzione di carta fabrianese: fra questi mercanti spiccano i nomi di Giovanni Bettini di Fano, Paiano di Falco di Perugia, Jacopo di Francesco Aringhi e Jacopo Portinari di Firenze, Barna di Lucca, banchiere in Firenze.

 

Nel 1365 Ludovico spediva complessivamente 567 balle del peso di oltre 137.850 libbre (cioè poco meno di 500 quintali), così suddivise: 236 balle a Perugia, 214 a Fano, 111 a Talamone, 6 a Firenze; l’anno seguente il numero di balle esportate saliva a 663, pari a 6.106 risme di carta: a Talamone ne confluivano 179, a Firenze 5, a Fano 188 e a Perugia 300. Dai porti adriatici e tirrenici le forniture di carta raggiungevano poi varie destinazioni, spesso lontane: come risulta dagli stessi registri di Ludovico, infatti, da Fano la merce giungeva a Venezia, mentre da Talamone prendeva il largo alla volta di Genova, Aigues-Mortes e Montpellier in Provenza. Le tappe seguite dalla mercanzia venivano spesso descritte da Ludovico in modo assai accurato nei suoi registri, lasciando intravedere un sistema commerciale ricco di intermediazioni: nell’estate 1365, ad esempio, il mercante fiorentino Ardingo de’ Ricci ordinava dalla sua piazza di Perugia 5 balle di carta prodotta a Pioraco da inviare a Fano, dove Giovanni Bettini la farà proseguire via mare per Venezia. Ludovico, da parte sua, anticipava a Giovanni di Ofreduccio, vetturale, le spese per le gabelle di transito della merce da Pioraco a Fabriano, pari a 29 soldi e saldando a quest’ultimo il compenso per il trasporto, che ammontava a un ducato d’oro e tre lire anconitane; una volta giunta a Fabriano la fornitura sarebbe stata affidata ad un trasportatore di Sassoferrato alle dipendenze di Ludovico.

 

Dagli ultimi anni del XIV secolo fino al 1416 Ludovico svolse la funzione di direttore di un’azienda a conduzione prevalentemente familiare, curando i rapporti d’affari con varie compagnie mercantili dell’Italia centrale e settentrionale, mentre suo padre, Ambrogio di Bonaventura, coadiuvato da alcuni contabili, si dedicava principalmente all’amministrazione dell’azienda, provvedendo alla compilazione dei libri mastri, accuratamente redatti. In questi libri venivano registrati sistematicamente gli impegni assunti dall’azienda nei contratti di compravendita di varie merci, i prestiti e i depositi di denaro concessi, le garanzie rese a terzi, le lettere di credito e altre operazioni che testimoniano il vivace ruolo che rivestiva la compagnia di Ludovico nel mondo dei grandi commerci. Se nei libri mastri venivano registrati i rapporti fra l’azienda e gli scambi a largo raggio, fatto che consente di seguire le rotte commerciali e i pagamenti delle partite di carta, oggetto di annotazione dei libri delle gualchiere era invece la fornitura di materia prima inviata agli edifici adibiti alla lavorazione, la quantità e la qualità delle merci prodotte, la spesa sostenuta per la fabbricazione. In un terzo tipo di registri, inoltre, il contabile dell’azienda elencava quotidianamente le entrate e le uscite, annotando anche le pur minime spese: questo articolato sistema di amministrazione aziendale costituisce un valido indice per apprezzare  la capillare diffusione della cultura mercantile nelle città italiane del basso medioevo.

 

Gli affari andavano a gonfie vele per l’azienda di Ludovico negli ultimi anni del Trecento. Una partita di merce spedita in più riprese fra aprile e maggio 1398 a Jacopo Arighi, “compratore e ritagliatore” di Firenze gli fruttò infatti lauti guadagni: venivano infatti spedite in Toscana 2 balle di carta imperiale con grifone composta di 4 risme ½ per ogni balla, 18 balle di carta reale con grifone di 5 risme per balla, 105 braccia di seta fina e 19 di seta doppia; a ciò vanno ad aggiungersi altre 2 balle e 9 risme di carta “di mezzo cervio” recuperate da Ludovico in seguito al fallimento dei mercanti fiorentini Ardingo de’ Ricci e Galtiero Portinari. Tutta la mercanzia aveva un valore stimato da Ludovico nella somma di 750 fiorini d’oro, 8 soldi e 3 denari: il mercante fabrianese riuscì però a piazzarla all’Arighi per un prezzo di 927 fiorini e 17 soldi; al ricavo così ottenuto si devono però sottrarre le spese sostenute per il trasporto, pari a 42 fiorini e per la gabella in entrata a Firenze, che ammontava a 5 fiorini; a queste di aggiungeva anche la commissione di vendita (la “provigione”) accordata al mercante fiorentino pari all’1% del valore totale della merce stimata, in pratica circa 8 fiorini. A conti fatti, dunque, nelle casse di Ludovico restavano oltre 115 fiorini, cioè il 15% del valore iniziale della partita.

A partire dal 1410, però, l’attività commerciale e imprenditoriale di Ludovico sembra entrare in una fase di crisi: lo dimostra il fatto che dal 4 giugno di quest’anno entrò in società con un cialandratore suo dipendente, Tommaso di Nascimbene, dedicandosi prevalentemente all’attività di reperimento degli stracci. L’avvedutezza del mercante tuttavia, nonostante la flessione del suo giro d’affari, non venne mai meno: nel 1411, infatti, Ludovico si aggiudicò sotto costo sulla piazza di Venezia l’acquisto di 22 balle di carta “bagnata”, dunque andata a male, per riciclarla nelle gualchiere fabrianesi: in questa singolare operazione le spese per il trasporto, pari a 94 lire e 18 soldi, si dimostrarono addirittura maggiori di quella, veramente irrisoria, per l’acquisto, pari a 620 soldi e 17 denari. Il risultato della gestione dell’anno 1412 risulta ancora soddisfacente: il guadagno netto di tutte le compravendite ammontava a 928 lire 15 soldi e 6 denari, ma rimaneva della chambora molto materiale invenduto (stracci, feltri, carta di varia qualità) stimato complessivamente 633 lire e 10 soldi. Forse per quest’ultima causa, l’anno seguente Ludovico costituì una nuova società, ora con due maestri cartai fra loro fratelli, Cicco e Liberatore di Stefanello: i registri non ci consentono però di seguirne le vicende patrimoniali.

 

Non sappiamo più nulla di Ludovico fino al 1417, anno in cui soprendentemente abbandonò il mondo del commercio “a causa –come egli stesso ricorda– della difficile situazione creatasi in città, delle ingenti spese e dei modesti guadagni”: in questo anno il dissesto finanziario della sua azienda sembra oramai compiuto. Ludovico, infatti, per saldare i debiti contratti dovette ricorre alla dote di 300 ducati di sua moglie Marianna, che risarcì con beni immobili di sua proprietà; contemporaneamente si trasferì a Foligno al servizio di Braccio di Montone, noto mercenario, che lo nominò suo procuratore per riscuotere le paghe destinate ai soldati. Il tracollo dell’azienda coinvolse ovviamente tutto il nucleo familiare: nel 1426 Bonaventura, figlio di Ludovico, il più facoltoso e intraprendente mercante di carta fabrianese, si trovava come garzone ad imparare l’arte di fabbricare la carta da un maestro, Ungarino di Arcangelo, mentre nella restante parte della sua vita si sarebbe dedicato al mestiere di cialandratore

 

(da F. Pirani, I maestri cartai, Firenze 2000)

 


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