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La battaglia di Sentino (2a parte)

--- versione aggiornata 2009 ---

 

di Federico Uncini

 

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IL CONTROLLO DELL’AGER GALLICO


Le città umbre di Sentino, Attidio e Camerino erano collegate tramite una pedemontana che attraversava il Piceno e l' Umbria fino a Foligno.
Come prima descritto Sentino era la zona di confluenza di tutte le strade che provenivano dall'Umbria e attraversavano la Gallia Senonia per giungere sull’Adriatico. I Galli non si limitavano solo al controllo delle strade principali, ma con gran meticolosità avevano recensito tutte le strade secondarie al fine di difenderle da attacchi nemici; infatti :
- dalle alture di Vallemontagnana controllavano le piste che attraversavano le impervie gole della Rossa, di Frasassi, e delle Chiuse di Albacina.
-da Genga e Montorso dominavano le vie di Pierosara, Arcevia, Genga e Sentino.
-da Nebbiano e Moscano controllavano la valle del Giano.
Ad occidente i passi appenninici (del Termine, degli Scannelli, di Valsorda, di Valmare, di Fossato e di Croce d'Appennino) erano sotto il prevalente controllo degli Umbri.
Gli stessi controllavano la pedemontana proveniente dall' alta valle del Potenza diretta a Sentino attraverso Campodonico, Cancelli e S.Cassiano.
Dai rinvenimenti archeologici si nota che gli insediamenti gallici erano disposti in modo tale da creare uno sbarramento militare, in altre parole una "linea gallica" posta a difesa del proprio Ager, in modo particolare per quanto si riferiva ad attacchi che potessero essere portati loro attraverso gli appennini.
Sbarrate le vie che attraversavano i valichi, lasciavano al nemico l'unica possibilità di penetrazione nelle pianure Sentinate attraverso la valle Camerte del fiume Esino.

L’ARRIVO DEI ROMANI NELL’AGRO SENTINATE


Il percorso dei romani è descritto sommariamente da T.Livio:"I consoli valicato l'Appennino raggiunsero il nemico nel territorio di Sentino;ivi ,a circa quattro miglia di distanza, fu posto l'accampamento.
A conferma di ciò l'esercito Romano percorse tale via e oltrepassato Camerino costeggiarono il fiume Esino fino a Cerreto , risalì le alture delle Serre e attraverso le aree sottostanti, oggi chiamate le Quadrelle e Campo d'Olmo, giunsero nei pressi della pianura dell'odierna Fabriano.
Questo percorso fu usato fino al medioevo per i collegamenti fra l'Umbria e il porto d’Ancona. Viene citata nelle carte medioevali dell'abbazia di S.Vittore delle Chiuse; è definita "la via rumana proveniente da campu d'olmo". Infatti, la direttrice toccava le località di Civita-Tuficum-Aesis-Sextia e raggiungeva Anconam. Un insediamento romano (Villa Rustica?) con alcune ceramiche e reperti preromani sono venuti ultimamente alla luce nei pressi di S.Maria in Campo nelle vicinanze della succitata via. Secondo la tradizione popolare nel trivio di S.Croce esisteva un tempio dedicato ad Apollo, quindi si può ipotizzare che la via di comunicazione che l'attraversava era molto antica. Tale strada era utilizzata anche dai Piceni per i collegamenti con la valle Esina e del Potenza dove lungo questa direttiva sono stati ritrovati insediamenti in località il Crocefisso di Matelica e Pitinio di S.Severino. In queste due località i reperti di provenienza etrusca confermano i collegamenti con l’Etruria attraverso il passo di Colfiorito e Croce d'Appennino.

LE LEGIONI ROMANE

In origine il termine legione indicava la leva e quindi l'intero esercito costituito da 3.000 fanti e 300 cavalieri, forniti in proporzioni uguali dalle tre tribù originarie dei Tiziensi (Tizi), dei Ramnensi (Ramni) e dei Luceri. Dopo la cosiddetta riforma Serviana, basata sul rapporto fra il censo e gli obblighi militari, essa comprendeva 60 centurie, di 100 uomini ciascuna, di fanteria di linea (juniores, forniti dalle prime tre classi del censo), la fanteria leggera (rorari o veliti, tratti dalla quarta e quinta classe) e la cavalleria formata dai cittadini più abbienti. Quando l'esercito fu sdoppiato, probabilmente in concomitanza con l'istituzione della dualità consolare, si costituirono due legioni, ciascuna con gli stessi quadri di quell’unica, ma con effettivi dimezzati (circa 3.000 fanti distribuiti sempre in 60 centurie). Tale legione combatteva ordinata a falange, con i soldati meglio armati, i principi in prima linea e dietro gli altri, genericamente chiamati astati In seguito all'ordinamento a falange ne subentrò un altro, corrispondente ad una tattica più evoluta, basata, più che sulla potenza d'urto di tutto lo schieramento, sulla prevalenza della lotta individuale con la spada e, quindi, sulla necessità di alimentare il combattimento mediante un ordinato impiego successivo delle truppe. La legione fu allora schierata su tre linee distanziate tra loro, la prima costituita da 1.200 astati (i soldati più giovani), la seconda da 1.200 principi (i soldati nel pieno delle forze) e la terza da 600 triario pilani(i soldati più anziani). Al nuovo schieramento corrispondeva un nuovo armamento, perché i soldati delle prime due linee oltre che della spada furono dotati di pilidum invece che della pesante asta da urto, che rimase l'arma dei triari. Inoltre, per ottenere una maggiore manovrabilità, ciascuna delle tre linee fu articolata in dieci unità minori, i manipoli ottenuti riunendo tatticamente a due a due le centurie, di 60 uomini delle prime due file e di 30 della terza. Infine i veliti, che dal punto di vista amministrativo erano ripartiti in ragione di 40 per ogni manipolo, operavano in massa sul fronte dello schieramento, mentre la cavalleria prendeva posizione alle ali. Durante la seconda guerra sannitica, resosi necessario l'aumento dei contingenti in armi per far fronte alle cresciute esigenze belliche, le legioni furono portate stabilmente a quattro (310 a.C. circa), due per ogni console, che da allora rappresentarono, fino al I sec. a.C., la forza normale di un esercito consolare. La legione cessò allora di coincidere con l'esercito e ne divenne l'unità tattica tipo, i cui effettivi normali erano, ancora all'epoca di Polibio, 4.200 fanti, saliti a circa 6.000 al tempo di Mario e quindi di nuovo ridotti a 4.000 o 5.000.
Gli ufficiali superiori erano i sei tribuni militari, che comandavano insieme tutta la legione, due per volta a turni mensili. I tribuni delle quattro legioni ordinarie erano eletti dal popolo (tribuni militum a populo), mentre quelli delle legioni create in soprannumero erano designati dai consoli. I sottufficiali erano costituiti da sessanta centurioni, due per manipolo, dei quali il più anziano comandava oltre alla sua centuria l'intero manipolo. Abbastanza presto, per la necessità di avere unità tattiche intermedie tra il manipolo e la legione, si passò dall'ordinamento manipolare a quello in coorti, introdotto già da Scipione (nella battaglia di Becula, 208 a.C.) e adottato definitivamente, pare, da Mario. Base di tale ordinamento furono le coorti, dieci per ogni legione, ottenute riunendo i tre manipoli d’astati, di principi e di triari, disposti in profondità sulla stessa linea. I manipoli però, come già prima le centurie, rimasero come unità organiche minori. Oltre a ciò, la riforma mariana, rendendo la leva indipendente dalle classi del censo e permettendo l'accesso al servizio militare anche ai proletari, portò all'abolizione dei veliti e della cavalleria legionaria che divenne un corpo di fanteria di linea e non più un'unità delle tre armi. L'uso di distinguere i legionari fra astati, principi e triari sopravvisse, sebbene ormai a tale ripartizione non corrispondesse più una differenza nell'armamento, che fu uniformato con l'adozione del pilo anche per i triari. Poiché Mario aveva reso il servizio militare da obbligatorio a volontario, trasformando quello che fino allora era stato un dovere civico in una professione, ne conseguì che le legioni divennero dei corpi permanenti con una tradizione propria. Con la riorganizzazione augustea dell'esercito le legioni, cresciute oltremodo di numero durante le guerre civili, furono ridotte a 28 (25 dopo la strage di Teutoburgo del 9 d.C.) e anche in seguito, fino a Settimio Severo, di norma non superarono la trentina. Inoltre, poiché nel nuovo sistema difensivo si trovavano spesso isolate, riacquistarono il carattere originario d’unità composite, e furono dotate ciascuna di una scorta di cavalleria, d’artiglieria e di contingenti ausiliari, sia a piedi sia a cavallo. Da Augusto in poi ogni legione ebbe un comandante proprio e permanente, il legatus (Augusti) legionis, di rango senatorio, ad eccezione di quelle stanziate in Egitto, che erano poste sotto il comando di praefecti legionis ( prefetto ) di rango equestre. Agli ordini del legato erano un tribuno laticlavio, di rango senatorio, e cinque tribuni augusti clavi, di rango equestre, il praefectus castrorum, preposto ai servizi del campo (compreso quello sanitario), i centurioni dei vari ordini e numerosi altri sottufficiali e graduati, con particolari mansioni come gli aquiliferi, i signiferi, gli opzioni, ecc. Costituite al tempo d’Augusto esclusivamente da cittadini romani, quindi per lo più da Italici, col tempo le legioni accolsero un numero sempre maggiore di provinciali, ai quali era concessa la cittadinanza all'atto dell'arruolamento, e al tempo d’Adriano ormai erano quasi interamente reclutate nelle stesse regioni in cui erano stanziate.
Il particolare sistema difensivo a cordone adottato da Augusto, con le legioni dislocate lungo i confini e privo di un'adeguata riserva centrale, presentò fin dall'inizio il grande inconveniente di rendere assai difficoltoso il loro spostamento da un settore all'altro, secondo le necessità, senza lasciare tratti di frontiera sguarniti. Ne derivò perciò la tendenza, accentuata poi dal prevalere dell'arruolamento territoriale e dal sorgere attorno agli accampamenti legionari delle canabe, a mantenere stabilmente le legioni nelle loro basi. Per costituire gli eserciti di campagna si ricorse allora, fin dai primi tempi dell'Impero, all'uso di vessillazioni, vale a dire distaccamenti di varia entità inviati dalle varie legioni. Di conseguenza la legione si trasformò gradatamente in un corpo locale e contemporaneamente in una riserva di truppe, le cui vessillazioni, distaccate spesso in altre province, finirono con l'acquistare una sempre maggiore autonomia e ad assumere esse stesse il nome di legione. Con Diocleziano e con Costantino, infine, si ebbe la suddivisione delle truppe in unità di frontiera (ripariensi, più tardi limitanei) e in unità mobili all'interno del territorio dell'Impero; fra queste ultime erano le legioni palatine, della guardia di palazzo, quelle comitatensi del seguito dell'imperatore, e quelle pseudocomitatensi, probabilmente con funzioni di presidio, ma sottoposte ai comandanti delle truppe mobili. Queste legioni, ciascuna di circa 1.000 uomini e costituita da sola fanteria, poiché la cavalleria legionaria, già abolita una prima volta da Gallieno, era stata definitivamente soppressa da Costantino, erano comandate da tribuni (sia i legati sia i praefecti legionis di rango equestre, che li avevano sostituiti dal tempo di Gallieno, erano oramai scomparsi). Circa 175 all'inizio del V sec. e ancora composte generalmente da cittadini romani, persero gradatamente gran parte della loro importanza di fronte al prevalere delle truppe barbariche, più bellicose.
Contraddistinte dapprima soltanto da un numero, in seguito le legioni assunsero, ufficialmente in età imperiale, anche veri e propri nomi, di varia origine (ad es. dalle province in cui si erano particolarmente distinte: Gallica, Macedonica, ecc.; da nomi di divinità: Minervia, Apollinaris, ecc.; dal nome di un imperatore: Claudia, Traiana, ecc.) ed epiteti onorifici (constans, vindex, pia, fidelis, ecc.). Oltre all'aquila, in origine solo uno dei cinque emblemi religiosi delle legioni (gli altri erano il lupo, il cinghiale, il cavallo e il Minotauro) divenutone poi con Mario il numen principale, erano onorati altri nomina particolari, rappresentati spesso dagli animali sacri alle divinità protettrici, che erano anche riprodotti sulle altre insegne, come pure le immagini degli imperatori, il cui genio era oggetto di particolare culto da parte dei soldati.
In tempo di pace i legionari erano addestrati mediante esercitazioni e manovre militari vere e proprie e, comunque, tenuti attivi con l'esecuzione di lavori per uso militare e civile, quali la costruzione e il mantenimento di canali, ponti, strade militari, fortificazioni e, anzitutto, dei loro accampamenti. Il rinvenimento di numerosi oggetti (suppellettile varia, mattoni, tegole, utensili, ecc.) recanti il loro marchio ha reso possibile una buona conoscenza di alcune legioni, come ad es. della terza Augusta accantonata a Lambesi (Lambèse).

L’ESERCITO SANNITA E LA LEGIONE LINTEATA

Nei combattimenti nel Sannio i sanniti avevano alcuni vantaggi considerevoli rispetto ai romani.Essi erano insediati in un territorio quasi tutto aspro e montuoso, che potevano facilmente difendere e sul quale sapevano combattere; avevano un potenziale demografico consistente ed armi evolute, come il pilum (Giavellotto). Per quanto le cifre sulla popolazione siano sempre dubbie, è probabile che i Sanniti fossero alcune centinaia di migliaia più dei Romani.Il corpo dell’esercito era costituito dalla legio linteata,così chiamata per i teli di lino che avevano coperto l’area in cui si era svolto il giuramento prima della battaglia d’Aquilonia e i cui membri erano forniti d’armi rivestite d’oro e argento.
Nella battaglia di Sentino i Sanniti misero in campo la formidabile legione Linteata, molto nota agli avversari per l'audacia, fedeltà e organizzazione dimostrate in diverse battaglie. La sconfitta di Sentino e segnò l'inizio della decadenza del popolo Sannita, venuto dall’Italia meridionale per dare, insieme agli alleati Italici una svolta decisiva al conflitto contro Roma. La battaglia fu favorevole ai Romani ed i Sanniti dovettero soccombere per colpa dell'alleato Senone che durante lo scontro adottò una tat¬tica sbagliata che permise all'avversario di prendere il sopravvento. Di conseguenza lo schieramento Sannita trovandosi con un fianco scoperto dovette retrocedere fino ad essere sopraffatto dai Romani e massacrato con il loro condottiero Gello Egnazio.
La Legio Linteata appare in una descrizione di un avvenimento del 309 a.C. narrato da Tito Livio negli Annales ed era una devotio alle divinità dell'Olimpo Sannita che, dopo una particolare cerimonia sacra, diventava una casta di guerrieri votata al sacrificio estremo pur di difendere il proprio popolo. Fu chiamata "linteata" dalla copertura del recinto in cui era stata consacrata la nobiltà combattente. Sulla legione e sulla cerimonia che la consacrava, ci sono giunte solo le testimonianze di Tito Livio ma molti sono i reperti archeologia venuti alla luce in questi ultimi anni che in parte avallano ciò che lo storico ha scritto. La narrazione del rito sacrale avvenuto nel 293 a.C. ad Aquilonia per costituire la "Legio Linteata", viene così da T.Lìvio narrata: " ... alla guerra questi (i Sanniti) s'erano preparati con lo stesso impegno e con gran dovizia di fulgide armi; e ricorsero anche all'aiuto degli dei, giacché i soldati erano stati iniziati alla milizia prestando il giuramento secondo un antico rito, e s'era fatta una leva per tutto il Sannio con una nuova legge, in virtù della quale chi fra i giovani non fosse accorso alla chiamata dei comandanti, e chi si fosse allontanato senza il loro ordine, doveva essere consacrato alla vendetta di Giove. Poi tutto l'esercito ricevette l'ordine di radunarsi ad Aquilonia. Vi si raccolsero circa 60.000 uomini, il fiore delle milizie ch'erano nel Sannio".
Questi legionari Sanniti indossavano divise ed armi particolari che li distinguevano dagli altri militi regolari: «Subito dopo si aveva con ugual pericolo e con uguale glorioso successo la guerra nel territorio dei Sanniti, i quali, oltre alle altre apparecchiature belliche, fecero sì che le loro schiere spiccassero per il fulgore di nuove armi. Due erano gli eserciti: gli scudi del primo li cesellarono in oro, quelli del secondo in argento; la forma dello scudo era la seguente: più larga la parte superiore, da cui son protetti il petto e le spalle, e orizzontale in cima; più appuntito in basso, per lasciare libertà di movimenti. A protezione del petto avevano una corazza a maglia, e la gamba sinistra era riparata da uno schiniere. Elmi con paragnatidi e pennacchio, per mettere maggiormente in evidenza la statura gigantesca.Tuniche variopinte ai soldati con lo scudo do¬rato, a quelli con lo scudo argen¬tato di candido lino".

GLI ACCAMPAMENTI MILITARI

Se si prende in considerazione che la battaglia si svolse nella piana fabrianese i Romani probabilmente si fermarono nella vasta pianura di S. Maria in Campo, senza oltrepassare il Giano. Il loro accampamento era ubicato a circa quattro miglia da quello degli Alleati i quali probabilmente erano disposti ad ovest nell'area compresa tra S.Cassiano,Marischio e Camoiano in agro Sentinate (Tito Livio:” ibi quattro milium feme intervallo castra posita”). La pianura di S.Maria poteva allora ospitare un esercito di quattro legioni, pari a circa 20.000 uomini, sia per la sua posizione strategica che permetteva all'esercito di osservare il nemico accampato di fronte, sia per la presenza di corsi d'acqua e sorgenti necessarie per dissetare i numerosi fanti e cavalli. (fiumi Giano, Burano, Argignano, ).
Le aree dove potevano accamparsi i Romani erano molteplici , considerando che al loro seguito portavano un certo numero d’alleati pari a quello delle legioni( circa 20.000 uomini) e 1.000 cavalieri campani.
Quindi i loro accampamenti potrebbero essere stati anche due : uno dei legionari e uno degli alleati.
Le aree pianeggianti disponibili nel territorio fabrianese potevano essere : Il castrum di Cerreto e le Quaderelle serviti dal fiume Esino, le Quadrelle d’Albacina servita dal fiume Giano e Argignano, la piana delle Muregini (Tuficum) servita dal fiume Giano ed Esino, la piana dei Tiberi ugualmente servita dal fiume Giano e dal fosso della Rocchetta ma situata alla sinistra del Giano e non protetta dalle vicine alture di Vallemontagnana, la piana di Campo d'Olmo servita dal fiume Giano e Burano, la piana dell'odierna chiesa di S. Maria in Campo e la piana di Fabriano,specialmente il rione del Piano con disposizione tipica dell’accampamento romano , quasi tutte alla destra del fiume Giano.
Se si prende in considerazione la piana di Serragulado i romani si potrebbero essere accampati nelle aree di Pian di Giano, Serra S.Facondino e S.Lucia di Sentinum. Gli avversari potrebbero aver fatto gli accampamenti nelle piane di Venatura e Monterosso.
Era di norma che alla fine d’ogni marcia l'esercito romano fortificasse l'accampamento, disposto secondo regole ben precise.
Il campo aveva uno schema fisso che permetteva a tutti di occupare immediatamente e con calma il posto assegnato , senza confusioni. Ogni reparto sapeva senz'altro ove doveva andare e quale parte di lavoro gli spettava di seguire.
Il campo militare romano è descritto in un celebre passo di T.Livio (XLIV,39).
La fortificazione consisteva normalmente in una fossa ,di solito a sezione triangolare e di varia larghezza e profondità, rafforzata da una palizzata ,vallum, per la quale in certi casi i soldati portavano in marcia essi stessi i pali(valli,stipites,sudes). In alcune circostanze , il campo poteva non avere la fossa, se era posto su un'altura dai fianchi scoscesi, o avere il vallo di pietra o di pietra e terra.
La più antica descrizione a noi pervenuta di un accampamento romano è quella di Polibio(VI, 26-42), il quale riporta che il campo è disposto per un esercito consolare normale di due legioni, con il contingente d’alleati(24.000 uomini): ha la forma di un quadrato regolare di 2250 piedi romani(666 m. circa).
L'accampamento aveva la fronte rivolta verso il nemico o nella direzione della marcia, ed era tenuto conto, quand'era possibile, della comodità dell'acqua e del foraggio.
Si sceglieva di solito una posizione elevata, che dominasse il terreno circostante, ma che nello stesso tempo, almeno sulla fronte, scendesse dolcemente non rapidamente, in modo che l'esercito potesse marciare in ordine uscendo dal campo. Naturalmente nella scelta delle posizioni molto si badava all'abbondanza sul luogo dell'acqua, di foraggio e di legname, come pure aveva gran rilievo la natura del terreno per lo scavo delle fosse.
Il campo aveva di solito quattro porte: Pretoriana, Decumana, la Principale sinistra e destra.
All'interno erano disposti il Praetorium, ove sorgeva la tenda del generale , di solito sul punto più elevato del campo, il Forum, il Tribunale, Il Queastorium, le Strigae, i Principia ecc.
Polibio (XXXII) avverte che questo era lo schema di un esercito di due legioni, quando entrambi gli schieramenti consolari si trovavano uniti , e i due campi si saldavano con i due lati posteriori in modo da formare un rettangolo.
Altri autori antichi parlano di castra di forma speciale imposta dal terreno(castra necessaria, castra lunata, semirotunda). Questo è confermato da un campo della seconda guerra punica presso Sagunto( II sec. a.C.) dove ha la forma di un trapezio con due lati di 500 m. uno di 200 e uno di 300 m.; a Castillejo e Pena Redonda(Numanzia )di forme fuori lo schema classico.

LE VIE PERCORSE DAI GALLI E ALLEATI
Tesi Piana di Fabriano

Gli Umbri, gli Etruschi arrivarono sul luogo della battaglia attraverso i passi di Croce d’Appennino, Scheggia e Cagli e potrebbero aver posto gli accampamenti nella piane di S.Cassiano, Molinaccio, Pegliole e Marischio.
I Sanniti potrebbero essere arrivati dal Molise attraversando i territori dei Peligni,Prestini,Pretuzzi e Piceni e tramite la Via gallica di Firmium, Urbus Salvia, Helvia Recina, Auximum, Aesis ,penetrarono nell’area della battaglia. Essi raggiunsero i loro alleati attraverso le valli del Misa, del Cesano o Esino
I Senoni, già padroni del territorio Sentinate si schierarono a fianco dei Sanniti, nella stessa area,seguendo le medesime strade sicuramente adatte al transito di carri da combattimento.
Testimonianze archeologiche della frequentazione di queste aree da parte dei carri da guerra o bighe, quindi in terreni adatti alla loro viabilità e all'uso bellico , sono fornite dai ritrovamenti di carri delle necropoli Picene di S.Maria in Campo e della stazione ferroviaria di Fabriano.
Anche questa parte del territorio era ricca di corsi d'acqua come il Rio Serramaggio, il Rio di S.Cassiano, il Rio Bono ecc.

PERSONAGGI DELLA BATTAGLIA

DECIO MURE

E’ il nome di tre comandanti romani che si consacrarono agli dei infernali per assicurare la vittoria ai loro eserciti: il primo, Publio, nel 340 a.C., durante una battaglia contro i Latini alle falde del Vesuvio; suo figlio a Sentino , ove, insieme a Fabio Rulliano, vinse i Sanniti, i Galli ,gli Etruschi e gli Umbri coalizzati contro Roma; il terzo, figlio di questo, secondo una tradizione discussa, si sarebbe sacrificato nella battaglia d' Ascoli Satriano del 279 a.C., durante la quale i Romani furono sconfitti da Pirro.

FABIO MASSIMO RULLIANO (QUINTO)

Fù uomo politico e generale romano durante le guerre sannitiche, cinque volte console (322, 310, 308, 297, 295 a.C.) e dittatore nel 315, figlio di M. Fabio Ambusto. Quand'era ancora assai giovane, nominato magister equitum(comandante della cavalleria) dal dittatore Lucio Papirio Cursore (325), attaccò battaglia, contro il suo divieto, riportando sui Sanniti una splendida vittoria. Condannato a morte dal dittatore, sfuggì al supplizio grazie alle minacce dell'esercito e alle suppliche del popolo e del vecchio padre. Trionfatore dei Sanniti nel 322 a.C., fu da loro sconfitto durante la dittatura (315) al passo di Lautule, presso Terracina; ma, rieletto console, sorprese gli Etruschi con un'ardita marcia attraverso la Selva Ciminia e li costrinsero a ritirarsi dalla guerra, dando così inizio alla fase offensiva della seconda guerra sannitica, cui partecipò, come console, nel 308 a.C. Censore nel 304, limitò la riforma d’Appio Claudio sulle iscrizioni dei cittadini alle tribù; negli ultimi due consolati combatté validamente la grande lega antiromana dei coalizzati della terza guerra sannitica e, insieme con Decio Mure, vinse la decisiva battaglia di Sentino . Ebbe gli onori del trionfo e, primo dei Fabi, ricevette il soprannome di Massimo.


LUCIO CORNELIO SCIPIONE BARBATO


fu console nel 298 a.C.. Guidò l'esercito di Roma alla vittoria contro gli Etruschi nei presidi Volterra. Membro della nobile famiglia romana degli Corneli, fu padre di Lucio Cornelio Scipione e do Gneo Cornelio Scipione..
Il suo sarcofago, che ora si trova nei Musei Vaticani, mantiene intatta il epitaffio, scritto in latino arcaico.:

CORNELIVS• LVCIVS• SCIPIO• BARBATVS• GNAIVOD• PATRE
PROGNATVS• FORTIS• VIR• SAPIENSQVE—QVOIVS• FORMA•
VIRTVTEI•PARISVMA.FVIT.CONSOL .CENSOR•AIDILIS•QVEI
•FVIT• APVD• VOS — TAVRASIA• CISAVNA . SAMNIO• CEPIT.
SVBIGIT•OMNE.•LOVCANA•OPSIDESQVE•ABDOVCIT.

"Cornelio Lucio Scipione Barbato, generato da Gnaeus suo padre, uomo forte e saggio, la cui apparenza era in armonia con la sua virtù, che fu console,censore e edile fra voi. Conquistò la Taurasia, Cisauna, il Sannio, soggiogò tutta la Lucania
e liberò ostaggi."La sua censura del 280 a.C. è memorabile in quanto fu la prima sulla quale abbiamo una testimonianza affidabile, malgrado tale magistratura fosse già da molto tempo in vigore.
GELLIO EGNAZIO

Condottiero Sannita ,fu l’ideatore della lega Italica . Creò un’alleanza armata capace di contrastare e battere l’avversario comune. Allora non era facile riunire politicamente e militarmente Etruschi,Umbri ,Sanniti,Galli ed altri ,dato che queste genti erano organizzate in federazioni di città stato apparentemente unite. Inoltre si doveva trattare con i Galli Senoni che era una popolazione di mercenari pronti a combattere al soldo di chiunque gli avessero offerto forti compensi in oro e bottini di guerra. L’idea di G.Egnazio fu di spostare il conflitto dal Sannio, ormai accerchiato dai Romani nell' Italia centrale e affrontare il nemico con un forte esercito Italico .Tito Livio ci descrive chiaramente il crearsi di questa situazione voluta dal condottiero Sannita: “Mentre si conducevano diverse operazioni nel Sannio,una grossa guerra viene scatenata contro i Romani in Etruria da molte popolazioni,per istigazione del sannita G.Egnazio. Alla guerra si erano rivolti tutti i Tusci, i vicini popoli dell’Umbria e con la promessa d’un compenso si sollecitavano aiuti dai Galli.Tutta quella moltitudine si era radunata presso il campo dei Sanniti( X,18- X,21)”.
Con una stupefacente marcia dal Sannio, Gellio Egnazio, valendosi dei diversivi posti in essere da un altro abile Comandante Sannita Minazio Staio, riuscì ad eludere la sorveglianza dei romani e raggiungere gli alleati, stanziati in Umbria : le ostilità si aprirono con una seria sconfitta patita dai romani guidati da Cornelio Scipione Barbato ad opera dei Galli e solo lo scoordinamento italico impedì a Gellio di sfruttare la situazione
Nel 293 ad Aquilonia era stata indetta la mobilitazione generale: il che vuol dire che la nuova capitale del Sannio libero era Aquilonia. La testimonianza è data dalle monete coniate forse in quell'occasione. Il noto glottologo Giacomo Devoto scrive: Di Aquilonia, irpina, si ha pure una moneta di bronzo con la testa di Athena e la leggenda: Akudunniad."
Il nome Akerunnia ( Cicogna madre) ricorre anche nelle famose Tavole di Gubbio. Un’epigrafe lacunosa, trovata a Lacedonia, in località Capo dell'Acqua, è custodita nel Museo Diocesano. L'iscrizione si presta a letture diverse: 1 ."ECNE(R) ACRIV"; 2. “ECN(AR) ACRIV..."; 3."EGNA(TIVS) AGRIV...".
La prima lettura testimonierebbe l'origine osca dell'epigrafe: ECNE. . .ACRIV = EC NE(R) AK(E)RIV = Ecco il nume: la Cicogna.
Seconda lettura: EC N(A)R AK(E)RIV = Ecco la sorgente Cicogna. Quale? Capi dell'Acqua? Proprio qui, in età romana, sulla via Appia era la stazione di Aquilonia (mutatio): ancora oggi vi è una grossa sorgente d'acqua. Terza lettura: EGNA.../ ACRIV = EGNA(TIE) A(NIMO) G(RATO) R(ECIPE) I(VSTUS) V(IR) = “O Egnazio, uomo illustre, accetta con animo grato (questa lapide)".Va osservato che ACRIV non sembra una sigla: le singole lettere di ACRIV non sono seguite da punti. L’iscrizione potrebbe essere riferita al condottiero sannita Egli, nel 296 a. C., era stato protagonista di un'azione in grande stile contro Roma: nel corso della terza guerra sannitica, a capo di un esercito sannita, si era recato in Etruria per coalizzare Etruschi, Galli Senoni e Umbri e per sferrare insieme un attacco. Era proprio di Aquilonia quel grande condottiero, caduto nella sanguinosa battaglia di Sentino ?
Nella guerra sociale, com'è noto, gli Irpini furono fra i popoli insorti contro Roma: rivendicavano anch'essi la cittadinanza e il diritto di voto. L'epigrafe potrebbe riferirsi a Mario Egnazio, protagonista e capo militare in quella guerra. Mario Egnazio, generale sannita durante la guerra sociale (forse era il capo dei rivoltosi irpini), unitosi ai Galli, sconfisse presso Camerino la legione romana del propretore L. Cornelio Scipione Barbato. Mario Egnazio, citato da Appiano , è incluso nella lista dei generali insorti nella guerra sociale: egli, dopo aver sconfitto presso Teanum Sùlicinum il console L. Giulio Cesare, prese per tradimento Venafro uccidendo due manipoli di soldati romani. Ma nell'89 a. C. Gaio Cosconio, dopo aver devastato i territori di Larinum, Asclum (Ausculum) e Venusia uccise il coraggioso condottiero sannita. Era un irpino?
L'epigrafe citata, probabilmente, risale alla guerra sociale (91-87 a.C.), quando Aquilonia, inserita nel mondo romano, era già municipium. Il popolo di Aquilonia, insorto contro Roma, però continuava a parlare la lingua madre, l'osco. La lingua ufficiale era il latino. Il popolo, dopo tre secoli di dominazione di Roma, non conosceva più l'alfabeto osco, caduto in disuso. Perciò (se è valida questa interpretazione) nell' iscrizione osca sono usati i caratteri latini. In questo documento epigrafico, Aquilonia, in tal caso, rivendicherebbe la propria identità etnica, la sua autonomia. Infatti, esalta il suo nume: la Cicogna. Nel documento, perciò, è usata la lingua madre (l'osco), contrapposta alla lingua straniera, la lingua latina, imposta da Roma.

I VEL LATHITES


Durante la terza guerra sannitica, nel corso di scontri tra gli eserciti romani e quelli della coalizione etrusco-umbro-gallo-sannita (298-295 a.C.),Tito Livio si sofferma sulla grave sconfitta subita dai Romani presso Chiusi (nel 295 a.C.): l'intera legione comandata dal propretore Lucio Cornelio Scipione (console del 298 e bisnonno di Publio Cornelio Scipione, il vincitore d’Annibale) fu annientata dai mercenari galli al soldo degli Etruschi. È probabile che questi Galli abbiano agito (con alcuni distaccamenti umbri) proprio dietro precise disposizioni dei comandi etruschi; del resto lo scontro si svolse in piena Etruria.
Tuttavia, poco dopo, un altro contingente romano, con abile mossa diversiva, prese a saccheggiare gravemente il territorio chiusino, costringendo l'esercito della lega etrusca a muoversi «dal territorio di Sentino per difendere il loro paese” abbandonando le schiere gallo-umbro-sannitiche poco prima dello scontro decisivo. Grazie a questa mossa i Romani ottennero la clamorosa vittoria sui Sanniti, nella battaglia di Sentino in Umbria (295 a.C.).
Gli Etruschi, pur non avendo "partecipato" all'eccidio di Sentino, furono indotti, dopo altri scontri di secondaria importanza, alla stipulazione di una tregua quarantennale (294 a.C.), implicante la clausola del pagamento (a Roma) di una penale di cinquecentomila assi per ciascuna città della lega (Livio, 10,37). Valutata la pur frammentaria relazione di Tito Livio, riguardo alla precisa condotta dell' esercito etrusco, non è impensabile che le città etrusche partecipanti a quella lega militare possano averla indicata come "lega chiusina", dal nome del luogo in cui può benissimo essere stata stipulata. Perciò, visto che gli estremi cronologici non sono incompatibili (la datazione dell'elogio del nobile Vel Lathites è approssimativa, pur nell'intervallo fine IV secolo-inizio III), non è assurdo leggere in Vs 1.179 un riferimento a quegli eventi. Il personaggio potrebbe essere stato il capo della lega
Etrusca “della battaglia di Sentino”.Vel Lathites potrebbe perciò, come capo della lega etrusca, aver comandato l'esercito etrusco “nella battaglia romana” (rumit-rine-mi), proprio durante gli avvenimenti de1 298-295 a.C. Helmut Rix ha correttamente riconosciuto in Vel Lathites un appartenente alla famiglia alla famiglia Leinies di Volsinii; il suo gentilizio "Lathites" indica verosimilmente che egli fu adottato dai Lathites (scritto anche Latithes o Latites) di Chiusi. Dunque Vel Lathites era, di nascita, un Leinies: ecco perchè il suo elogio funebre si trova scritto nel sepolcro gentilizio di quest'ultima famiglia, a Volsinii (la Tomba Golini I).
Al pari d’altre città dell' Etruria settentrionale, Chiusi non dovette subire particolari vessazioni durante il successivo periodo d’espansione romana. Nel 205 a.C., in qualità d’alleata, essa contribuì alla costruzione della flotta di Scipione con il legno d’abete per lo scafo delle navi e una gran quantità di frumento (una fomitura analoga a quella di Perugia e Roselle). Plinio il Vecchio c’informa che Silla vi dedusse una colonia che portò una distinzione del corpo civico tra Clusini veteres e Clusini novi. Situata in posizione strategica, fra i comprensori di Perugia e Orvieto, Chiusi è ricordata dalle fonti che la menzionano come una delle città della dodecapoli etrusca. In età storica, a lei facevano capo una moltitudine di piccoli insediamenti sparsi nel territorio che della sua cultura costituivano un’emanazione, mentre l'origine del centro può ben ricercarsi in epoca più antica, poiché tracce indicative di una frequentazione stabile riguardano la prima età del Ferro, con antefatti nell'età del Bronzo.
Con l'onomastica etrusca e si fonda su un'antica tradizione latina che riportava l'etimologia etrusca del prenome Lars, vale a dire 'capo militare', 'guerriero', forse meglio 'tenace', 'combattivo', 'coraggioso' (infatti Laran è il nome etrusco del dio Marte; sulla radice lar- si formano i prenomi etruschi Larth e Laris).
Dunque tradurre lat. Lars con 'nobile', quando esso è palesemente impiegato come prenome, è un errore, come se il lat. Gaius Marius fosse reso in italiano con 'il felice Mario' (invece, ovviamente, di Gaio Mario). Un simile sbaglio è commesso anche; nella traduzione del nome del re di Veio Lars Tolumnius (etr. Larth Tulumnes). Il gentilizio Porsenna, poi, ha la caratteristica terminazione -na dei nomi di famiglia etruschi. Anche su di lui si è fantasticato, volendolo forzatamente interpretare come un titolo (derivato dal termine magistraturale purth-) e non come un nome personale. In realtà Lars Pursenna è una chiara ed indubitabile "traduzione" latina di una tipica formula onomastica bimembre etrusca. Quanto al corrispondente etrusco del gentilizio Porsenna (Plinio il Vecchio ha Porsina), si potrebbe ricostruire un *Pursiena (non attestato) o, forse, pensare a Pursena, effettivamente testimoniato.

LE AZIONI DIPLOMATICHE ETRUSCO ROMANE


L’operazione dei Romani nel devastare i territori nemici fu un segnale di avvertimento alle classi sociali etrusche filo romane che dovevano disimpegnarsi dalla Lega e collaborare con la politica di Roma onde evitare distruzioni e soprattutto perdere i poteri acquisiti nel territorio etrusco.
Già nel periodo precedente alla battaglia di Sentino,Tarquinia era in effetti la città etrusca egemone e l'oligarchia aretina riconosceva palesemente questo ruolo guida, chiedendo l'aiuto delle armi tarquiniesi per bloccare rivolgimenti non tollerabili degli equilibri politico-sociali. Il matrimonio tra Larthi Cilnei e Arnth Spurina è una prova tangibile dell'alleanza delle aristocrazie di Arezzo e di Tarquinia. Secondo Tito Livio nel 311 a.C. tutti i popoli d'Etruria, tranne gli Aretini, presero le armi e posero l'assedio a Sutri, già città etrusca, ma allora colonia romana (dal 383 a.C.). Si trattò di una guerra di grosse proporzioni per il controllo di quella città che era una sorta di "ingresso dell'Etruria". Dopo una serie di scontri che si protrassero per qualche tempo, nel 310 i Romani inflissero una pesante sconfitta alle truppe etrusche (si parla addirittura di sessantamila nemici uccisi o fatti prigionieri), riuscendo a penetrare profondamente nell'Etruria centrale e interna. Subito dopo da Perugia (in cui nell'anno successivo fu lasciato un presidio romano), Cortona e Arezzo, che a quel tempo erano come le capitali dei popoli d'Etruria, furono inviati ambasciatori a Roma con richieste di pace; fu concessa una tregua trentennale. Comunque si è notato che Arezzo non doveva aver partecipato direttamente alla spedizione militare. La politica filoromana degli oligarchi aretini (la potenza di Tarquinia era ormai in fase declinante e comunque si avvertiva più vicina la presenza di Roma) traspare anche dalle vicende della rivolta servile del 302 a.C. In quell'anno, scrive Livio, scoppiò ad Arezzo un'insurrezione contro l'influente famiglia dei Cilnii, politicamente vicino a Roma che, odiata per le sue enormi ricchezze, stava per essere scacciata dalla città. I disordini si propagarono ad altre zone dell'Etruria (Roselle); il dittatore Marco Valerio Massimo riuscì, ad ogni modo, nel 301 a.C. a riconciliare la plebe aretina con i Cilnii. Nel 294 a.C., alla fine di una serie di scontri tra Roma e una coalizione gallo-etrusco-sannita, tre città «potentissime, tra le più in vista dell'Etruria», cioè Volsinii, Perugia e Arezzo, ottennero una tregua quarantennale e un trattato di alleanza, essendo però comminata a ciascuna di loro un'ammenda di cinquecentornila assi, per la parte che avevano avuto nella recente guerra.Altre famiglie filo romane di origine etrusca che probabilmente ebbero un ruolo nella diplomazia di rimanere vicini a roma durante il conflitto contro la lega italica fu quella degli Ogulnii.La prima menzione del nome di Romolo si trova verso il 350 a.C. nella Storia Italica di Alcino: Enea avrebbe sposato Tirrenia che avrebbe partorito Romolo. La figlia di questo, Alba, fu madre di Romo che fondò Roma.La leggenda più diffusa di Romolo e Remo probabilmente risale alla fine del IV secolo a.C., gli Ogulnii dedicarono una statua della lupa con gemelli nel 296 a.C. La Lex Ogulnia, promulgata nel300 a.C. , è uno degli esiti della lunga lotta di classe che oppose patrizi e plebei nell'nell’età repubblicana dell' antica Roma. Con questa legge, il pontificato massimo e il collegio sacerdotale degli Auguri vennero resi accessibili ai plebei.
La Gens Volumnia fu una famiglia patrizia romana molto antica. Ciò si desume in primo luogo dal fatto che vi appartenne Volumnia, moglie di Coriolano, illustre personaggio vissuto nel V secolo A.C.; in secondo luogo tra i membri di questa gens si ricorda un Publius Volumnius Gallus, che ricoprì il consolato già nel 461 a.C.
Nonostante le sue antiche origini, questa gens non raggiunse mai posizioni di particolare rilievo nella storia della Repubblica.
I Volumnii si distinsero in due rami, i Volumni Galli, contraddistinti dal soprannome Amintinus, ed i Volumni Fiamma con il soprannome Violens.
L'Ipogeo dei Volumni è una tomba ipogea etrusca di datazione incerta ma attribuibile al III secolo a.C.. L'ipogeo si trova a sud est di Perugia, in località Ponte S.Giovanni..
Essa costituiva la tomba della famiglia di Arunte Volumnio (Arnth Veltimna Aules, inetrusco), della Gens Volumnia, antica famiglia patrizia romana. La tomba appartiene alla più vasta area archeologica della Necropoli del Palazzone (VI.V secolo a.C.), che presenta un gran numero di tombe sotterranee ed un museo che raccoglie urne ed altre vestigia reperite successivamente agli scavi.

LA BATTAGLIA


La battaglia di Sentino è narrata dalle fonti antiche dagli storici Polibio II,19,6; Tito Livio X, 17-30 e Frontino Strat. 1, 8, 3.Il più dettagliato è quello di Tito Livio
descrivendo il confronto in modo molto drammatico:
“ Si tennero quindi delle consultazioni fra gli alleati, e si convenne di non congiungere tutte le forze in un solo accampamento e di non scendere a battaglia contemporaneamente; i Galli si unirono ai Sanniti, gli Etruschi agli Umbri. Venne fissato il giorno del combattimento ; alla battaglia furono destinati i Sanniti e i Galli; gli Etruschi e gli Umbri ebbero l'incarico di assalire il campo romano proprio nel mezzo del combattimento. Guastarono questi piani tre disertori di Chiusi, i quali durante la notte passarono al console Fabio e gli rivelarono i progetti dei nemici; essi furono quindi congedati con dei doni, perché continuassero a spiare e riferissero qualunque nuova decisione venisse presa. I consoli scrivono a Fulvio e a Postumio di fare avanzare i loro eserciti, rispettivamente dal territorio dei Falisci e dall' Agro Vaticano, verso Chiusi e di devastare con estrema violenza il paese dei nemici. La notizia di tale devastazione indusse gli Etruschi ed Umbri ad allontanarsi dal territorio di Sentino per difendere il loro paese” .
Lo scontro fu molto violento, tanto che nella prima fase della battaglia i Romani ripiegarono verso i loro accampamenti essendo stati sorpresi dalle forti urla dei Galli e dalla veloce avanzata dei loro carri da guerra. La cavalleria Romana si spaventò, indietreggiò disordinatamente, fino a travolgere la stessa fanteria che volgeva all'attacco. I carri dei Galli fecero una strage della fanteria avversaria presa di sorpresa. Il console D. Mure tentò invano di fermare i suoi militi in fuga e visto che la situazione volgeva al peggio, decise di sacrificarsi facendo voto di morte gettandosi nella mischia, dove rimase ucciso . Questo sacrificio arrestò la ritirata dei Romani e la furia dei Galli fu contenuta. In realtà, a fermare gli avversari non fu il sacrificio di D. Mure, ma la stanchezza sopraggiunta ai Galli dovuta al clima estivo; infatti, la battaglia si svolse nel mese d’Agosto. L'impeto dei barbari si attenuò: essi cominciarono a retrocedere travolgendo con i loro carri i propri guerrieri che battevano in ritirata. In quel difficile momento vi fu anche una forte resistenza da parte dei legionari Triari che erano molto esperti nel superare situazioni critiche. Essi entrarono in combattimento in un secondo momento ed essendo freschi ed esperti, spezzarono lo slancio degli alleati. I romani presero il sopravvento e spinsero i nemici verso i loro accampamenti. Incalzati da Fabio e dalle sue legioni, con una travolgente avanzata esse arrivarono fino agli accampamenti dei Sanniti e dei Galli. Nonostante una resistenza disperata, il campo dei Sanniti fu espugnato. Il loro duce Gellio Egnazio cadde nella difesa.
I Galli furono assaliti alle spalle e sterminati prima di arrivare al loro accampamento. I Romani ottennero una strepitosa vittoria che ebbe i dolorosi costi di 25.000 morti fra i Galli e i Sanniti, 8000 prigionieri e circa 8000 caduti Romani.
A dimostrare che questa può essere annoverata fra le più grandi battaglie dell'epoca, le spoglie dell'eroe Romano D.Mure furono ritrovate dopo due giorni di faticose ricerche come ci fa sapere T. Livio . In considerazione dei caduti d’entrambi i fronti, dei prigionieri da parte Romana si può presumere che le forze in campo fossero molto elevate. Infatti, fu una battaglia dove scesero in campo notevoli forze di fanteria,cavalleria e carri che richiedevano un a pianura molto vasta e quella di Fabriano era la più idonea per tali manovre militari.


I BUSTA GALLORUM


Nel luogo del massacro si ritrovarono un numero così elevato di morti che per i Galli fu necessario innalzare delle pire. I cumuli di ceneri(Busta Gallorum) furono talmente numerosi che lasciarono nei secoli successivi un tangibile ricordo.
Il cerimoniale dell'incinerazione adottato dai Romani era distinto in due diverse tipologie:
- cremazione diretta (bustum); il defunto, deposto su un assito ligneo o su di un letto funebre e spesso accompagnato da oggetti personali o monili, era bruciato all'interno della fossa; i resti del rogo erano ricoperti frequentemente da laterizi. In alcuni casi si poteva procedere all' ossilegium, ossia alla cernita delle ossa raccolte poi entro il cinerario, che rimaneva in ogni caso all'interno della fossa;
- cremazione indiretta; questo rito presupponeva invece l'esistenza di un apposito spazio; l'ustrinum, dove si accendeva la pira per il rogo funebre; una volta bruciato il cadavere, le ossa calcinate erano raccolte e trasferite nella tomba. Alla presenza di un pozzetto o di una cassa laterizia, assieme alle ossa si potevano trasferire anche parte delle ceneri. Se le ossa erano raccolte entro l'urna cineraria, venivano selezionate dal resto della combustione e talvolta anche lavate.
In ogni modo nel caso delle battaglie i cadaveri venivano ammucchiati a centinaia dentro le fosse naturali o artificiali, poi riempiti ed avvolti di legname erano prima spogliati poi bruciati direttamente.
Per personaggi particolari d’alto grado era utilizzata la cremazione diretta o indiretta. e istituita la sepoltura monumentale sul posto connessa al rito di sepoltura era la deposizione del corredo, distribuito entro la fossa e diversificato in base alla ricchezza del defunto.
Fra i vari oggetti, per il più vasellame di diverso tipo, ricorrenti erano: la moneta, quale “obolo di Caronte”; la lucerna per illuminare il viaggio nell'aldilà; il balsamario in vetro per gli unguenti. Oggetti più personali, potevano invece essere indossati dal defunto fin dal momento del funerale.
Procopio, nel racconto sullo scontro decisivo tra i Goti e Bizantini avvenuto nel 552 d.C. riporta che le parti si affrontarono nei pressi dei " Busta Gallorum", nel crematoio dei Galli:
<< Le forze romane al comando di Narsete misero poco dopo anche loro il campo sull'Appennino: Stavano ad una distanza di circa 100 stadi da quell’avversario, in una posizione pianeggiante ma circondata da molte alture assai vicine ,dove si narra che una volta Camillo, generale romano ,vinse e distrusse in battaglia una moltitudine di Galli. Di questo fatto la località porta tuttora la testimonianza nel nome, serbando memoria del rovescio dei Galli: si chiama Busta Gallorum. Busta è il nome che i Latini danno ai resti della cremazione. E ci sono moltissimi tumuli, in cui furono sepolti i cadaveri. >>
Lo storico fa riferimento all’offensiva di Camillo del 390 a.C. quando secondo alcune fonti inseguì i Galli fino alle vicinanze di Pesaro.
Questa affermazione fa presumere ad un errore di Procopio che non era informato sull’accaduto della battaglia di Sentino avvenuta proprio nelle vicinanze di Tagina. e combattuta dai consoli Decio e Fabio nel 295 a.C.
Nel conflitto del 390 a.C. secondo T.Livio i Galli furono massacrati, vicino alla capitale, in una località chiamata Carinae, situata a nord ovest dell'Esquilino.
Servio invece scrive che Camillo, giunto a Roma dopo che i Galli erano partiti, li inseguì e dopo averli raggiunti presso Pesaro, li attaccò, li sconfisse e recuperò l'oro del riscatto. A quale fonte aveva attinto Procopio?
In ogni caso la sconfitta dell’Allia e il saccheggio del Campidoglio fu questo certamente un evento catastrofico: l'esercito romano dovette essere travolto in campo aperto e subire perdite gravissime. Di questo disastro si conservò l'eco nelle pagine di diversi storici greci del IV secolo: Filisto, Eraclide, Pontico, Teopompo e perfino Aristotele. Il resto della storia è quasi certamente frutto del tentativo delle fonti annalistiche di edulcorare la vergogna della disastrosa sconfitta.
La località secondo Varrone è definita Busta Gallorum(De Lingua latina,V,157), l’ossario dei Galli,ammassati dai Romani.Secondo altri i morti furono ammucchiati dagli stessi Galli durante la pestilenza.
A Roma nelle vicinanze di Tor de' Conti sul Vicus Cyprius s'incontra la piccola Chiesa di S. Andrea detta in Portogallo. Nome corrotto e si vuole che fosse il luogo, che i romani chiamarono Busta Gallica da quando Furio Camillo ordinò, che i corpi dei Galli Senoni uccisi sotto il Campidoglio fossero in questo luogo bruciati
Procopio descrivendo i tumuli dei sepolcreti dei Galli, ancora visibili al tempo del confronto tra Totila e Narsete, cosa poco probabile per i secoli trascorsi( 800 anni!) potrebbe aver scambiato tali cumuli con le tombe picene a tumulo, che erano numerose nella piana di S.Maria, nella stazione ferroviaria e forse in altre aree oggi non note.
Tali tombe erano di forma circolare con un diametro di circa 4 metri ed erano ricoperte da tronchi di legno e pietre che formavano,appunto dei tumuli o piccoli avvallamenti che certamente sono rimasti nei secoli. Difatti alcune di questi avvallamenti erano ancora visibili nei nostri anni 1960 senza considerare la netta marcatura dei tumuli visibili nelle foto aree scattate dalla RAF nel 1944.
I Piceni per i loro defunti costruirono grandi necropoli con imponenti tumuli , pietre , steli, statue e per¬sino da strade che le attraversano e forse le collegavano ai circostanti abitati.
Uso di seppellire i morti entro fosse racchiuse da circo¬li di pietre e sormontate da tumuli (di terra o di pietre) compare per la prima volta in Abruzzo, nel sito di Paludi di Celano ,alla fine dell’età del Bronzo,a Fossa ,nell’Aquilano,dove i tumuli raggiungono un diamentro di 15 metri;a Campovelano nel Teramano,ad Atri,Loreto Aprutino,Capestrano ecc.
Nelle Marche , tombe a tumulo sono state ritrovate a Pitino di S.Severino ,Matelica,Tolentino, Belmonte Piceno e a Numana.
Fra Bastia e Fontanaldo esiste un'insenatura indicata dalla gente locale come la "Fossa dei Galli". Nessun indizio archeologico (ceneri, armi, ecc.) è sinora emerso in quest’area. C'è tuttavia da rilevare che - terminata la battaglia - i cadaveri furono spogliati ed il bottino (armi, corazze, ecc.) fu diviso tra i soldati vincitori. Inoltre i cumuli di ceneri dei cadaveri bruciati con il trascorrere dei secoli sono penetrati nella profondità del suolo e dispersi dalla pioggia.
Importanti strati di ceneri e ossa di cremazioni umane sono recentemente (1992) venute alla luce nella piana del Maragone durante la costruzione d’edifici industriali. Questo ritrovamento sfuggito a molti addetti ai lavori è una testimonianza nella zona probabilmente è avvenuto un importante fatto d'armi. Le ceneri riportate in superficie potrebbero essere una parte dei "Busta Gallorum".
Altre ceneri sono affiorate in più aree della pianura del Maragone, vicino all'odierna strada diretta al così detto "Maglio" e al nuovo sottopassaggio ferroviario che si trova nella stessa zona. Tali cumuli non possono essere confusi con le ceneri dei focolari e della necropoli degli insediamenti Piceni presenti nella stessa area nel IX-VIII secolo a.C. Inoltre i Piceni erano insediati in una zona più ad est della piana. Per un'ulteriore precisazione le ceneri ritrovate sono per quantità,colore e compattezza diverse da quelle dei focolari domestici e delle urne cinerarie. Un documento delle Carte di S.Vittore delle Chiuse del 1243 riferito alla contrada la Troila (ad est della piana del Maragone ) cita un vocabolo "plano lì morti" che potrebbe riferirsi ad una battaglia.
Altre testimonianze archeologiche che potrebbero essere collegate alla battaglia sono andate totalmente perdute (1971 e 1994) durante i lavori di sbancamento nella zona industriale della piana di Marischio.


IL TEMPIO DI GIOVE


Il console Fabio, dopo la battaglia, bruciò in voto a Giove vincitore le spoglie nemiche ed eresse in suo onore un tempio. Di fronte a Bastia - nella località Molinaccio - al disopra dell'odierno bivio della strada diretta a Roma, esiste un'altura chiamata "Campo della Vittoria" dove negli anni passati sono stati ritrovati resti di capitelli, colonne e altri ruderi di un tempio. Purtroppo tali reperti, non essendo finiti alla Soprintendenza ai Beni Culturali, non sono più reperibili e quindi ci privano di un sicuro elemento di giudizio per valutare se il tempio sia Romano o meno.
Ritrovamenti simili sono andati perduti nei pressi della chiesa di S.Maria in Campo.
Altro luogo dove potrebbe essere stato eretto il tempio è la sommità del monte Civita, già utilizzato come monte sacro dagli Umbri .L’ipotesi è avvalorata dalla presenza di reperti archeologici e di due cisterne d’acqua scavate sulla roccia.

LE ALTRE PIANURE


La città romana di Sentino si trovava nel pianoro rialzato di S.Lucia di Sassoferrato, circondato da dirupi naturali nel cui fondo scorrevano i fiumi Sentino e Marena. Essa rappresentava un passaggio obbligato per chi proveniva da ovest (Scheggia) o sud ovest(Fabriano)diretto verso la costa adriatica.
I Romani per arrivare a Sentino potevano percorrere la via della Scheggia che s’inoltrava nell'impervia gola del Corno. Questa direttiva allora era senz’altro pericolosa, poiché proveniente dal cuore dell'Umbria attraversava i confini della Senonia che probabilmente erano ben difesi.
Un’alternativa poteva essere la via di Camerino ovvero l’antico tracciato Piceno (futura Protoflaminia).
Un esercito, trovandosi alle porte di una città difesa dai Celti e dagli Umbri con una struttura fortificata ed in assetto di guerra doveva necessariamente assediarla, fosse essa stata grande o piccola. Questo avvenimento, per quanto riguarda Sentino, non è minimamente accennato da Tito Livio. Lo storico, come dice il Montani in altri avvenimenti, ha ben citato l'assedio delle città, mentre per quanto riguarda Sentino usa la frase "in Agrum Sentinate" anziché "Ad Sentinam" ( lettera I - pag.13).
Difatti supponendo che la posizione della città umbra era vicina alla piana della Tovaglia, di S. Croce e Serragualdo, situate nel cuore del territorio gallico, la sua esistenza durante o dopo il confronto non poteva essere ignorata dai vincitori che l'avrebbero certamente assediata e distrutta. Non avendo alcuna notizia da T. Livio sull'assedio della città , si può dedurre o che la città umbra non era a S.Lucia o i Romani hanno affrontato gli alleati lontano dalla città ovvero a sud dell'Agro Sentinate, nella piana di Fabriano, senza coinvolgere Sentino sia se era collocata nella piana di Sassoferrato o a Civitalba.
Nel III secolo a.C. l'esercito romano era formato da cittadini , cui il censo conferiva il diritto, prima del dovere, di assolvere il servizio militare.
Allora i cittadini erano divisi in sei classi , in porzione alla loro ricchezza : le prime cinque classi comprendevano i possidenti , la sesta era costituita dai non possidenti o proletari.
Ogni classe di possidenti era divisa in centurie, così chiamate perché ognuna doveva dare cento uomini al servizio militare. La prima classe dava 98 centurie, la seconda 20, la terza 20,la quarta 20,la quinta 28 per un totale di 186 centurie. La sesta classe, sebbene fosse la più numerosa ,formava una sola centuria e non dava all'esercito combattenti ,ma soltanto i suonatori e gli artieri necessari.
Le 186 centurie erano ordinariamente suddivise in quattro legioni (legio deriva da legere: raccogliere). Ad ogni legione erano assegnate: tre centurie di cavalieri,20 di fanti della prima classe.10 fanti della seconda e terza classe,12 fanti della quarta e quinta classe. Sei centurie di cavalleria rimanevano di riserva e fungevano da complementi . Pertanto la legione era costituita da 4200 fanti e 300 cavalieri, ed era comandata a rotazione da sei tribuni militari. La fanteria era divisa in quattro specialità:
I Triari ,armati di lancia, gladio, scudo, corazza di ferro, elmo in metallo con copriguance ; erano i legionari migliori e aventi maggiore esperienza per anzianità di servizio.
I Principi, armati come i Triari ,avevano invece che la lancia due giavellotti.
Gli Astati erano come i Principi ma più giovani.
I Veliti , rappresentavano la fanteria leggera ,erano armati di gladio , di un piccolo scudo rotondo e di sette giavellotti.
La cavalleria non aveva specialità : tutti i cavalieri ,erano armati ,nello stesso modo ,lancia, gladio ,rotella elmo e corazza. I cavalieri erano scelti fra i cittadini più ricchi ;quindi le 18 centurie di cavalleria provenivano tutte dalla prima classe. Roma era in concreto una forza di fanteria, mentre la cavalleria aveva solo il compito di coprirne i fianchi.
L'unità tattica della fanteria di linea era il manipolo, comandato da un centurione e composto di 120 legionari per gli Astati e i Principi, e di 60 per i Triari .10 manipoli per ciascuna specialità componevano la Legione.
Ad ognuno dei 30 manipoli era assegnato un reparto di 40 Veliti.
I 300 cavalieri erano ordinati in 10 turme di 30 cavalieri ciascuna, che costituivano le due ali ai fianchi della Legione.
Nell'ordine di battaglia, tutti i manipoli erano disposti su 10 righe di 12 file per gli Astati ed i Principi e su 10 righe di sei file per i Triari; tra fila e fila, come tra riga e riga , vi era la distanza di circa un metro per consentire ad ogni uomo la libertà di manovra. La turma era ordinata su quattro righe e otto file , tra i cavalieri vi era un intervallo di due metri.
I manipoli erano disposti su tre linee ed a scacchiera: i 10 manipoli d’astati formavano la prima linea ed erano posti l’uno accanto all'altro con intervalli uguali alla fronte di un manipolo; i 10 manipoli di principi formavano la seconda linea, disposti come nella prima e corrispondenti agli intervalli di questa; infine, i 10 manipoli di Triari costituivano la terza linea, situati in corrispondenza degli intervalli della seconda. La distanza fra le linee era normalmente maggiore della portata delle armi da getto del nemico , vale a dire circa 50 metri.
Le turme di cavalleria erano ripartite sulle ali della legione e talvolta anche dietro i triari , su una o due linee, con intervalli uguali o maggiori della fronte d’ogni turma e spesso era affiancata da reparti di cavalieri alleati.
I Veliti erano sparsi sulla fronte, negli intervalli dei manipoli o a tergo. Essi davano inizio al combattimento, coprendo i movimenti della Legione.
La cavalleria interveniva alle ali caricando al galoppo. Dopo la vittoria si occupava dell'inseguimento insieme ai veliti.
Un manipolo di Triari ( 60 uomini) occupava uno spazio di circa 20 metri di larghezza per 12 di profondità .
Un manipolo d’astati e principi( 120 uomini ) occupava uno spazio di 20 metri di larghezza per 24 di profondità
I Veliti raggruppati in manipoli erano situati in avanti ed occupavano gli stessi spazi degli astati e principi.
Una legione formata da 10 manipoli era larga circa 220 metri .
Quattro Legioni in formazione di combattimento occupavano uno spazio di circa 220 metri di larghezza e 230 di profondità e affiancata con la cavalleria alle ali l'esercito poteva occupare uno spazio di 260 metri da un'ala della cavalleria se disposta su una linea ,più 220 metri della fanteria più 260 metri della seconda ala di cavalleria (profonda circa 40 metri). Con questo schema l'esercito romano occupava uno spazio pari a 740 metri di larghezza e 270 di profondità.( 199.800 metri quadrati =19,9 ettari) Un ettaro equivale a 10.000 metri quadrati.
Se la cavalleria era disposta su due linee, occupava uno spazio di 130 metri più 220 della fanteria , più 130 metri della seconda ala (profonda 80 metri). In questo secondo schema l'esercito romano di 4 legioni occupava uno spazio di circa 480 metri di larghezza e 310 metri di profondità ( 148.800 metri quadrati=14,8 ettari).
La cavalleria in alcuni casi poteva stare completamente dietro le legioni senza occupare lo spazio d’affiancamento ,ma necessitava sempre di una superficie libera e piana per il suo intervento, come detto al galoppo. Considerando poi la cavalleria e la fanteria degli alleati , lo spazio occupato dall'esercito romano in complessivo era superiore a quanto sopra calcolato.
Uguale superficie o superiore com’era previsto all'inizio della battaglia, l’ occupava l'esercito degli alleati (Galli, Sanniti, Umbri ed Etruschi).
Le dimensioni delle pianure calcolate con i documenti e i metodi odierni( foto aeree, carte militari, carte antiche ecc.) ci permettono di risalire alla situazione del territorio di allora che approssimativamente aveva le seguenti caratteristiche di superfici:
Piana di Fabriano collocata a destra del fiume Giano( area tra S.Maria e l'odierna Città -Ospedale- porta Pisana): 2500 metri di lunghezza per 500 metri sui primi 1700 metri di lunghezza che poi si allarga progressivamente in un lato a 800 metri per una lunghezza di 600 metri.( 850.000 mq + 240.000 mq= 1.090.000 mq.= 85+24 ettari).
Piana di Fabriano collocata a sinistra del Giano( Maragone- Stazione Ferroviaria) 1200 metri di lunghezza per 500 metri di larghezza.( 600.000 mq= 60 ettari).
Piana di Melano –Marischio-Camoiano 1000 metri di lunghezza per 800 metri di larghezza( 800.000 mq= 80 ettari).
Piana di Serragualdo 600 metri di larghezza per 1500 metri di lunghezza.(900.000 mq= 90 ettari).
Piana della Toveglia :1500 metri di lunghezza per 370 di larghezza.( 555.000 mq=55,5 ettari)
Piana di Colleponi : 600 metri di lunghezza per 300 di larghezza.( 180.000 mq=18 ettari).

Considerando lo spazio occupato dall'esercito romano in uno schema di 480x310 metri, simile per quello celtico -sannita ,senza calcolare le altre truppe alleate ai Romani e quelle che si sono ritirate all'ultimo momento prima della battaglia(Umbri ed Etruschi) , i due eserciti contendenti dovevano occupare uno spazio totale di 620 metri di profondità e 480 metri di larghezza .( 297.000 mq=29,7 ettari).
Le piane della Toveglia e Colleponi non erano idonee per ospitare gli schieramenti militari dei due eserciti e non avevano gli spazi necessari per le manovre dei carri e della cavalleria.
La piana di Serragualdo riportata nella situazione di allora si può dedurre che era nel limite di contenimento di tali eserciti.
Esaminate le aree pianeggianti esistenti nel territorio Sentinate, le pianure fabrianesi di S.Maria e del Maragone potrebbero essere state per la loro ampiezza e la natura del terreno le più idonee per il confronto tra i due eserciti.

CIVITALBA

Civitalba è il luogo del ritrovamento di un noto complesso di terrecotte architettoniche. Si trova in un'altura,nel comune di Sassoferrato, a circa 6 km a nord-est dell'antico municipio di Sentinum. In epoca romana, secondo l'assetto augusteo, appartenne alla VI regio Umbra ed era collegata con Sena Gallica tramite la valle del Misa. Dopo la battaglia di Sentino Roma si affrettò a fondare diverse città nel territorio dei Senoni, a cominciare da Sena Gallica,Ariminum,Aesis,Firmium poi Sentinum. A seguito della confisca del territorio dei Senoni, definito ager Gallicus, i suoli agricoli furono assegnati in piccoli lotti a cittadini romani. Nonostante l'affermarsi della potenza romana in questo territorio, nuove incursioni accaddero nei decenni successivi finché, nel 191 a.C. , i Romani riuscirono a sottomettere definitivamente tutta la zona padana, e solo nel periodo seguente gli stanziamenti romani poterono svilupparsi con più tranquillità.
Nel corso del Bellum Perusinum (41 a.C.) Sentinum, che parteggiava per Antonio, fu presa e devastata da Salvidieno Rufo, del partito d’Ottaviano (Cassio Dione XLVIII, 13, 25; Appiano Bell. Civ. V, 30). La città fu rifatta completamente in epoca augustea: è identificata grazie a scavi archeologia che hanno portato alla luce resti d’edifici romani. E’ possibile che si tratti di una località diversa da quella della Sentinum repubblicana. Brizio, che alla fine dell’800 ha eseguito degli scavi sul colle di Civitalba, trovò non solo le terrecotte architettoniche, ma anche resti di mura da lui identificati come edifici di un abitato romano.
Dopo la battaglia del 295 a.C., la città umbra di Sentino rimase un vicus e probabilmente a conclusione della guerra sociale (90 a.C.) fu costruita più a valle e Civitalba rimase un oppidum.
Civitalba nel medioevo prese il nome di Cavalbo o Cavalalbo dove rimane il termine preromano mediterraneo d’Alba da Alb ovvero insediamento d’altura.

GLI SCAVI A CIVITALBA

Dalle notizie degli scavi pubblicati dal Brizio nel Luglio 1897 nella rivista Regione VI (Umbria )abbiamo delle importanti informazioni su quanto ritrovato nel sito di Civitalba in quel periodo.
“Quasi a metà strada tra Sassoferrato ed Arcevia elavasi il colle detto Civita Alba dal nome di una città, che nei tempi antichi vi sorgeva sulla sommità irregolarmente pianeggiante.
Di questa città si riconosca ancora chiaramente tutto il perimetro delle mura, nascoste qua e là sotto folti boscaglie, e fatte a grossi ciottoloni ovoidali alternati con blocchi squadrati di travertino.
Delle mura si conservano qua e là tratti considerevoli; tutti gli anni però i lavori agricoli ne vanno distruggendo qualche parte.
Un’elevazione naturale, che domina il declivi pianoro, sembra costituisse l’Acropoli, la quale era alla sua volta cinta e difesa tutta attorno da validissime mura, anch' esse in gran parte ben conservate.
Gli stessi ciottoloni ovoidali servivano alla pavimentazione delle vie, una dalle quali, nel 1890, vidi scoperta per un tratto largo circa sette metri. Sembra che attraversasse tutta la città perché la sua lunghezza superava i cento metri, e certo continuava anche, al di là, dei due estremi, dove ne fu allora constatata l'esistenza.
Le vie erano fiancheggiate da case, sul tipo di quelle pompeiane. Nel 1890 in un breve, saggio di scavo da me fatto si scoprì un cubicolo di tre metri per quattro, le, cui pareti, rivestite, d’intonaco dipinto, erano alto, in qualche punto ancora mezzo metro, ed il pavimento ad opus signinum era quasi intatto.
Resti di pavimento a mosaico tornano frequentemente alla luce in occasione di lavori agricoli; ma bene spesso l'aratro li rompe e disgrega. Spasso pure ritrovansi oggetti di bronzo e di altra. materia,. che dagli avidi ed ignoranti contadini, vengono, non appena trovati, per pochi soldi venduti. Ricordo fra questi un ansa di vaso in bronzo assai caratteristica, cioè simile a quella d’altro vaso, trovato nella ricca tomba gallica di Montefortino e di un secondo proveniente da S. Ginesio
Nel giugno 1891, scavandosi un fosso per piantamento di viti, scoprirosi varie antichità, di cui ebbi notizia dall’ispettore degli scavi, cav. Anselmi. Fra questa erano: uno stile di bronzo, lungo m. 0,18 ; numerosi frammenti di antefisse ornate di fogliami, e tre grandi frammenti di lastre in terracotta con figure umane a rilievo, in mosse vivaci, ben modellate e dipinte.Lo scorso anno poi, nel fare similmente uno scassato per piantamento di viti, furono scoperte anche due costruzioni murarie assai importanti.La prima era un condotto di oltre venti metri, formato con grandi parallelepipedi di calcare, lunghi ciascuno da sessanta ad ottanta centimetri, nei quali è scavato un canale, largo circa m. 0,15 ed alto m. 0,25. I contadini divelsero i pezzi che impedivano la continuazione del lavoro, e li, trasportarono ed ammucchiarono presso la casa colonica, dove li ho visti. Ma parecchi ne rimangono ancora sotterra, che verranno regolarmente scoperti nella prossima estate, per conoscere la direzione e l' uso del condotto.
La seconda costruzione é una fornace, apparsa a poca distanza dal lato occidentale delle mura; ad è sul tipo delle fornaci romano per terrecotte, scoperte ad Heddernheim presso Francoforte sul Reno, a Nocera umbra ed altrove .
Tutti gl' indicati avanzi di mura, di strade, di edifizi, di costruzioni murarie, ed i trovamenti frequenti di piccoli oggetti non lasciano dubbio che a Civita Alba esisteva un' antica ed estesa città.Il vocabolo stesso di Civita lo conferma.
Ma il suo vero e primitivo nome non è conosciuto, perché nè alcuno antico scrittore parla di quella città, nè alcuna iscrizione vi fu ancora scoperta.
Il Brandimarte, che trattò di questo argomento nel suo Piceno Annonario volsi riconoscervi l' Alba ricordata da Procopio e da Appiano . Ma i luoghi di questi autori, su cui egli appoggia la sua congettura, non gli danno ragione, perché tanto i primi quanto i secondi si riferiscono ad Alba Fucense.
Con ciò però non si toglie, anzi rimane sempre molto probabile, che la città, costruita fra Arcevia e Sassoferrato, potesse chiamarsi Alba, come molta altre. città d'Italia e della Gallia. Deve escludersi tuttavia che di essa si trovi menzione, negli antichi scrittori.
Dall’esame delle ruine, dalla sua posizione sopra un colle e dai trovamenti fatti fuora, si. può soltanto affermare che. quella città esisteva anteriormente all' anno 295 a.C. quando i Romani nell' agro sentinate vinsero i Sanniti ed i Galli uniti insieme,e che, certo essa non é di fondazione romana. Trovasi difatti in mezzo ai monti, sopra un’altura, mentre i Romani quando conquistarono e colonizzarono quella regione dell' antico Piceno furono soliti costruire le città in piano, e presso corsi di acqua,come dimostrano gli avanzi romani di Sentino, di Ostra, di Suasa ecc.Ma il tempo infine a cui la città rimase in piedi, e fu abitata, è ancora sconosciuto, quantunque già sia molto significativo il fatto che finora non vi si è trovata alcuna lapide romana. Ma su questo punto. ancora così oscuro, soltanto scavi regolari ed ampi potranno gettar luce.
Perciò già da molto tempo io avea concepito l' idea di eseguire esplorazioni me-
todiche in quel sito. E siccome una vasta zona del suolo di Civita Alba appartiene alla parrocchia detta della Costa presso Arcevia, così un dal 1890 avea iniziato col parroco di quel benefizio, D. Pacifico Severini, la pratiche necessarie per eseguire
gli scavi. Questo però non ebbero allora esito felice, per difficoltà di vario genere.
D'altra parte in quell' anno e nei susseguenti avvennero in altre località delle Marche, a Sassoferrato, Numana, Novilara, Castel Trosino, varie ed importanti scoperte archeologiche, che richiesero tutte le cure del Governo.
Perciò gli scavi di Civita Alba furono sempre di anno in anno, e fin ad ora,differiti.
Ma talune scoperte casuali e di eccezionale importanza avvenuto di recente in quell'antica città, delle quali debbo pure la notizia al benemerito cav. Anselmi, mi hanno persuaso della necessità di non indugiare più oltre ad iniziare i progettati lavori.

LA SCOPERTA DEI FREGI

Il Brizio nella sua relazione riporta i fatti dell’importante scoperta delle terrecotte di Civitalba: “Lo scorso autunno il colono di Civita Alba avea intrapreso, quasi nel mezzo del pianoro, uno scassato, largo circa tre metri, e lungo cento, per piantarvi alberi e viti. Giunto alla profondità di un metro e mezzo appena, incontrò varie statuette di terra in frammenti, le quali, a quanto egli mi riferì, erano disposte, parte le une sopra le altre, parte in fila, ed occupavano una lunghezza di circa quattro metri. Alla mia richiesta so dappresso sorgeva qualche muro, rispose di aver notato una specie di stradello, che s'internava sotto le terre, ch’ egli però non credé di seguire. Al di qua ed al di là dei quattro metri, ov' erano radunate le statuette, o per quanto era largo il fosso, non ritrovò nessun altro oggetto, non frammenti di tegole, nè di antefisse. E siccome il giorno avanti io avea osservato nella casa del parroco D. Severini parecchi avanzi di antefisse e di fregi con ovoli, così il colono mi assicurò di aver rinvenuti questi più volte, circa un ottanta. metri, in altra parte del campo, mi condusse, sul sito. E fu convinto ch' egli diceva il vero, perché fra la zolle, smosse da poco, vidi ancora parecchie di quelle terrecotte con rilievi di palmette, simili a quelle posseduto dal parroco.
Per conseguenza non soltanto nel sito, dove eransi trovate le statuette ma anche la dove, furono raccolte le palmette ed i fregi, d' ovoli, dove sorgere qualche cospicuo edificio.
La necessità di eseguire esplorazioni vaste e regolari diventa sempre più urgente e giustificata. Pertanto col parroco D. Severini ripresi subito le trattative per, gli scavi, che questa volta, ho fondata speranza, riusciranno a buon fine.
Le statuette scoperte dal colono furono in seguito trasportate alla parrocchia della Costa, circa sei chilometri da Alba. Ivi le osservai la prima volta il 26 febbraio ultimo, e quantunque ne avessi riconosciuto subito l'eccezionale importanza artistica, non potei però farmi un' idea esatta del soggetto che rappresentavano, sopratutto perché di parecchie figure non si erano ancora trovati i pezzi combacianti fra loro.,
Da un primo e fuggevole esame avea soltanto potuto comprendere che le statue si doveano dividere in due serie: la prima con figura alta. in, media m. 0,65, rappresentanti una scena del cielo bacchico; la seconda con figure alte appena m. 0,45 che componevano un fregio rappresentante combattimenti contro guerrieri Galli.
Diedi perciò le opportuno disposizioni. affinché fossero, ricercati: e riuniti i pezzi di tutte le statue, per poterlo provvisoriamente ricomporre, ed in seguito fotografare.
Ed affidai questo preliminare e difficile incarico ad un impiegato intelligente del museo, al sig. Luciano Proni, il quale in un tempo assai breve eseguì un lavoro per ogni rispetto soddisfacente.
Perché non solo riuscì a ritrovare di quasi tutta le statue i pezzi più impor¬tanti, ma a determinare altresì il posto speciale che occupavano la singolo figure, ed i rapporti in cui si trovavano fra loro, formando in questo modo coi frammenti delle statue grandi tre gruppi, due simili fra loro, ed un terzo totalmente diverso da essi quantunque spettante alla medesima serie.
Anche delle statue piccole furono riconosciuti qua e là alcuni pezzi nuovi: ma finora non si poterono determinare le reciproche posizioni, nè i rapporti in cui si tro¬vavano fra loro le diverse figure”.

I TOPONIMI

Nel territorio Sentinate sono ancor vivi diversi toponimi che richiamano eventi bellici,ma nulla è dimostrato che fanno riferimento alla battaglia di Sentino.In ogni caso rimangono sempre come riferimento alla vicenda sia se hanno un fondamento di verità sia se sono frutto di fantasie della gente nei tempi passati.
Si ricordano:

-Campo della battaglia : Pian della Tovaglia.
-Campo della battaglia : Molinaccio di Fabriano.
-Fondo Vittoriano: S.Vittore delle Chiuse.
-Fossa dei Galli: Bastia.
-Fossa: Piana di Serragualdo.
-Colcanin(Monterosso stazione): Colle Accanito.
-Monterosso: monte macchiato di sangue.
-Sanguerone : fiume tinto di sangue.
-Campodiegoli: campo di Decios.
-Il piano dei morti: Troila di Fabriano.
-La tomba Colle Cappuccini di Fabriano.

LE CELEBRAZIONI DELLE VITTORIE ROMANE SUI GALLI

Si data ai decenni iniziali del II secolo a.C., alla fine della guerra gallica, la famosa testimonianza iconografica dei Celti, contenuta nel fregio fittile ritrovata a Civitalba.
Probabilmente destinata ad un tempio eretto nel territorio di Sentinum, a ricordo della battaglia del 295 a.C., connessa ad un piano elaborato da Roma per la celebrazione delle vittorie sui Galli.
In questo programma celebrativo, in cui forse rientrava l'erezione di monumenti nella stessa Roma, sarebbe incluso anche il tempio di Talamone, di cui rimane il frontone raffigurante un episodio bellico del mito dei sette contro Tebe, ma in realtà rimane a dimostrare il preteso rapporto tra questo edificio e la battaglia combattuta a Talamone nel 225 a.C. tra Romani e Galli.
Del tempio di Civitalba non conosciamo le strutture: ne rimane soltanto un frontone e frammenti del fregio, entrambi in terracotta, recuperati nel 1897 da Edoardo Brizio.
Secondo la relazione dell’archeologo, i resti furono rinvenuti in uno dei cinque vani della fornace e alcuni si trovavano “parte l’una sopra le altre, parte in fila” in un’area di circa quattro metri di lunghezza.
Le terrecotte erano assenti di policromia non erano disposte in modo caotico da far pensare ad un crollo e nella zona erano assenti elementi che potevano far ipotizzare la presenza di un complesso templare.
Infatti le tematiche rappresentate sono strettamente legate all’evento storico di Sentino e non dovevano essere esportate in altre località.
Esse con molta probabilità sono state prodotte nella fornace di Civitalba,poi immagazzinate in un deposito nell’attesa di essere collocate in un tempio per celebrare la vittoria dei Romani nella battaglia di Sentino.
Dalla relazione del Brizio al momento della scoperta le decorazioni, fabbricate in loco, erano disposte in modo ordinato come se fossero state impacchettate per un trasferimento altrove o pronte per essere collocate in un tempio sul colle di Civitalba o nell'Agro Sentinate
Le terrecotte non furono mai messe in opera forse a causa di un incendio della fornace come lascia pensare le tracce di cenere rinvenute in mezzo ai materiali decorativi.
Il fregio, in particolare, reca un riferimento preciso ai Galli, raffigurati mentre fuggono, dopo il saccheggio di un santuario, carichi di bottino, inseguiti da due dee (una delle quali è sicuramente identificabile come Artemide l’altra Atena) e forse da guerrieri ed eroi.
L'ispirazione a Pergamo del complesso di terrecotte , in cui nella policromia originale i Galli dovevano essere rappresentati con biondi con occhi azzurri, è universalmente riconosciuta, ma è in ogni caso affascinante il richiamo apocalittico nell'iconografia dei Celti, così come ricorderà, due secoli dopo,T.Livio.
Il particolare del capo celtico in corsa sul suo carro si collega in modo impressionante alla descrizione liviana della carica dei guerrieri Galli contro la cavalleria delle legioni Romane.
Non si può escludere che a Livio ,la plasticità così potentemente evocativa, non gli sia servita d’ ispirazione per suo racconto della battaglia.
Il complesso di terrecotte composto di più lastre in terracotta che, con chiodi, erano fissate alla parete d'appoggio, ci rimanda un'immagine tipica dei Galli, quale si ritrova anche nella descrizione di Diodoro Siculo : hanno lunghi capelli e baffi spioventi e alcuni sono completamente nudi, con una collana rigida (torques) al collo e una cintura sui fianchi, che probabilmente serviva per sospendere la spada. Si difendono con uno scudo nella sinistra e tengono la spada, non conservata, con la destra. Altri hanno un corto mantello sulle spalle oppure una corta tunica che lascia sco¬perta una spalla.
Uno di loro infine presenta, sotto il mantello, una corta tunica di pelle d'animale, stretta alla vita da una cintura.
I Galli hanno saccheggiato un santuario, in difesa del quale sono accorsi divinità ed eroi. Inseguiti, tentano di difendersi e si ritirano in maniera disordinata; il bottino (patere e brocche in metallo prezioso) è in gran parte caduto a terra, perduto durante la fuga; il capo dei Galli fugge su un carro trainato da due cavalli, travolgendo un altro guerriero caduto.
A Civitalba non è raffigurato un episodio specifico della guerra tra Romani e Celti in Italia: in lui vi è soltanto un generico riferimento all'attività predatoria ed ai saccheggi di cui si resero protagonisti i Celti in Italia, seminando il terrore nella penisola.
Il modello di questa raffigurazione va ricercato in ambito pergameno e tale rapporto è suggerito dallo stile e dal sogget¬to della composizione, probabilmente il saccheggio del santuario d’Apollo a Delfi o di un santuario dell'Asia Minore.
Questo percorso storico e ico¬nografico unisce Pergamo (e l'Asia Minore) a Roma ed a Civitalba, mediante la celebrazione delle vittorie sui Celti.
All'inizio del III secolo a.C. un'altra invasione celtica, do¬po quella dell'Italia, era giunta nel cuore del Mediterraneo: i Celti, lasciate le sedi danubiane, irruppero nella penisola balcanica, arrivarono in Grecia e minacciarono uno dei suoi maggiori santuari, Delfi. E’ incerto però se abbia una reale consistenza storica il suo saccheggio e contrastanti sono le versioni sulla vicenda.
I Celti dilagarono poi anche nell'Asia Minore e, con il consueto sistema di rapine e saccheggi o di pagamenti di tributi-riscatti, tennero in continuo allarme i regni ellenistici nati dallo sgretolamento dell'impero macedone d’Alessandro Magno.
Tale situazione variò soltanto nella seconda metà del III secolo a.C.: Attalo I, divenuto re di Pergamo nel 241 a.C., rifiutandosi di pagare ai Celti i tributi abituali, scese in guerra contro di loro.
Lo scontro armato si risolse a suo favore: nel 230 a.C. circa inflisse ai Celti una pesante sconfitta presso le fonti del fiume Kaikos, ad est di Pergamo. Dopo altre battaglie e vittorie furono definitivamente relegati in una regione interna dell’Asia Minore, che, dal nome dato ai Celti dai Greci ,si chiamò Galatia.
A queste vittorie furono dedicati monumenti celebrativi a Pergamo, ad Atene, a Delfi, con cui Attalo I volle presentarsi come il difensore della civiltà greca contro la barbarie e istituire un parallelo con la lotta combattuta dai Greci del V secolo a.C. contro altri barbari, i Persiani. Il ruolo di Pergamo nella lotta contro i Celti fu così assimilato a quello d’Atene durante le guerre persiane.
A questi modelli (ai gruppi scultorei e forse anche alle pitture di Delfi) s’ispirarono gli artigiani che lavorarono al fregio di Civitalba: il riferimento ai modelli elaborati a Pergamo non fu però puramente formale, ma anche ideologico. Anche Roma, dopo Atene e Pergamo, voleva presentarsi infatti co¬me campione della civiltà contro la barbarie.
L'esito vittorioso della guerra gallica fu forse celebrato nella stessa Roma in «pitture trionfali» dei decenni iniziali del II secolo a.C. Inoltre una testina di Gallo in terracotta, proveniente da Roma, potrebbe aver fatto parte di un fregio con scena di galatomachia analogo a quello di Civitalba.
Del gruppo di sculture di bronzo innalzato sull'acropoli di Pergamo da Attalo I nel santuario d’Atena, rimangono le celebri copie di marmo rinvenute a Roma e conosciute come il «Gallo suicida con la moglie» e il «Gallo morente». Nella pri¬ma è raffigurato un Gallo che, dopo aver ucciso la moglie, di cui con la sinistra regge il corpo ormai privo di vita, sta per trafiggersi il petto con la spada. Sconfitto, ha ucciso e si uccide per non cadere schiavo nelle mani del nemico. Nella seconda, invece, un guerriero ferito mortalmente è accasciato a terra, sul proprio scudo. Entrambi sono nudi, ma mentre il Gallo suicida ha sulle spalle un corto mantello, il Gallo moren¬te porta al collo l'ornamento tipico dei guerrieri celtici, il torques.

I FASTI CONSOLARI


Roma celebrò la vittoria di Sentino con i fasti consolari a Roma il giorno 4 Settembre 295 a.C. come riporta T.Livio: “Quinto Fabio, lasciato a Decio il compito di presidiare l'Etruria col proprio esercito, riportò a Roma le sue legioni e ottenne il trionfo su Galli, Etruschi e Sanniti. I soldati lo seguivano nella sfilata, e nei rozzi canti militari la valorosa morte di Decio fu celebrata non meno della vittoria di Fabio, e tra le lodi rivolte al figlio fu richiamata la memoria del padre, il cui sacrificio e i cui successi in campo pubblico erano stati adesso eguagliati. Dal bottino raccolto in guerra ogni soldato ricevette ottantadue assi di rame, un mantello e una tunica, che in quel tempo erano riconoscimenti militari non certo disprezzabili”.Un frammento in un dei Fasti capitolini, custodito al Palazzo dei Conservatori,Sala della Lupa Capitolina di Roma riporta i trionfi di Marco Fulvio Pitino,Gneo Fulvio Centumalo,Quinto Fabio Rulliano(avvenuto il 4 Settembre dell’anno CDLIIX 295 a.C. ,sui Sanniti,Etruschi e Galli; Lucio Postumio Megello,Marco Attilio Regolo,Lucio Papirio Cursore …
Nelle iscrizioni dei Fasti consolari(Museo della Civiltà Romana, Roma EUR) si notano le nomine dei censori partecipi allo scontro:

CENS.•O.FABIUS•. M.F.N.N. MAXIM. RULLIANUS. P. DECIUS. P.F.O.N.MUS. XXVIII

Rulliano e Decio sono nominati Censori (304 a.C.). È in questa circostanza che al primo viene dato l'appellativo di "Massimo".

O.FABIUS.M.F.N.N.MAXIM.RULLIANUS.IIII. P.DECIUS. P.F.O.N. MUS.III.

Q. Fabio Rullianoe P. Decio Mure, Consoli nel 297 a.C., rispettivamente per la IV e III volta.

O. FAB I US.M.F.N.N.MAXIM.RULLIANUS.V. P.DECIUS O.P.F.O.N.MUS. IIII.OUI.SE.DEVQVIT :

Nell'anno 295 a.C., vengono nuovamente nominati Consoli e medesimi personaggi. Vicino al nome di Publio Decio figura che egli si è sacrificato nella battaglia di Sentino.

Oltre ai Fasti Roma per l’evento di Sentino si coniò intorno al 289 a.C. una moneta tramite la zecca del Campidoglio e ripetuta nel 95 a.C.dal personaggio Sentius a ricordo dei duecento anni di quanto avvenuto nella terra delle sue genti.
Francesco Parvini Rosati, professore di numismatica greca e romana all'Università "La Sapienza" di Roma riporta in un articolo di Archeo la seguente affermazione :
"Le ultime emissioni sono costituite da dracme e didracme che presentano al dritto un' effigie bifronte laureata giovanile e al rovescio Giove con lo scettro in atto di lanciare il fulmine, in quadriga al galoppo guidata dalla Vittoria. Sotto la quadriga, in una tavoletta, v' è la legenda Roma".
"In relazione con queste didracme, cui, per il tipo del rovescio, è stato dato il nome di "quadrigato" è stato posto, per ragioni stilistiche e tipologiche, un gruppo di emissioni auree denominato "oro del giuramento" dal tipo raffigurato nel rovescio; due guerrieri, probabilmente un romano ed un sannita, con l'asta e la spada sguainata su un porcellino sorretto da una terza persona in ginocchio; sotto è la legenda Roma".
"Al dritto -aggiunge il docente-, è rappresentata una testa giovanile bifronte che mostra una stretta somiglianza con la testa bifronte che vediamo nel "quadrigato" ... Gli eventi storici ricordati dai due gruppi di emissione sono probabilmente, la grande vittoria riportata dai Romani a Sentinum nel 295 a.c. cui si riferisce la figurazione di Giove che lancia il fulmine su una quadriga guidata dalla Vittoria e la pace tra Roma e i Sanniti nel 290, ricordata dalla scena del "giuramento".


L’autore:
“Oggi il luogo della battaglia dell’agro Sentinate è ancora ignoto e qualunque esso sia stato non toglie la grande importanza dell’evento che ha aperto le porte a Roma verso la conquista del continente europeo.




Bibliografia

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Polibio “ Historie” Libro II CAP. XIX, 5-7
Procopio “La guerra Gotica” Libro VIII - IV; 29- 4,5
Brandimarte "La Gallia Senonia", Roma, 1835
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Fabriano,

chiesa di Santa Maria in campo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pianura fabrianese venendo

da Sentino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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