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I fondi necessari per la ricostruzione

(terremoto del 1741)

 

 di Pippo Rossi

 

Passata la paura del terremoto, anche se ancora per qualche mese la terra tremò, i pubblici amministratori  cercarono con tutti i mezzi di reperire i fondi per la ricostruzione degli edifici pubblici. Inviarono a Roma un memoriale circostanziato sui danni all' attenzione del cardinale Riviera, presidente della congregazione del Buon Governo, nonchè " ringhioso ed iracondo cerbero dell' erario". Vennero interessati, pure, della questione, mons. Benedetto Veterani e Andrea De Rossi, che fungevano da agenti del comune di Fabriano a Roma, e tre nobili  ed autorevoli cittadini  dimoranti nell' Urbe: l' abbate Giuseppe Bufera, mons. Giuseppe Filippo De Sanctis prelato di curia e l'avvocato , procuratore di curia, Domenico Gionantoni, buon amico di Benedetto XIV. Fu interessato, inoltre, anche il cardinale protettore Alessandro Albani, insieme ad alcuni altri prelati della curia Vaticana, il tutto allo scopo di arrivare fino al pontefice Benedetto XIV.

Però anche da altre parti  dello stato pontificio giungevano invocazioni e rcihieste di denaro per ricostruire gli edifici pubblici colpiti dal sisma ed il guaio era che le casse dello stato erano a secco. Il pontefice, Benedetto XIV, si commosse per le vicende di Fabriano," mostrò la sua paterna sollecitudine" aggiungendo però che al momento le finanze dello stato erano sull' orlo del tracollo. Consigliò che nel frattempo la magistratura dovesse prendere le redini della situazione,  provvedendo a soccorrere i poveri e soprattutto ad invocare il soccorso divino. Il carteggio tra  il comune di Fabriano ed i suoi agenti romani  fu copioso, coprendo tutto l' arco del 1741 ed i primi mesi del 1742, tutto però risultò inutile: da una parte  insistenze e lamentele, dall' altra risposte evasive. "Princeps aureus, tempora ferrea" scriveva in una lettera, indirizzata al comune, monsignor Giuseppe De Sanctis. Il princeps aureus il 31  maggio, appena quaranta giorni dopo  l'evento sismico, radunò un' apposita  Congregazione che stanziò un fondo di centomila scudi da disitribuire tra le città colpite dal sisma.  Ma i " tempora ferrea" fecero sospirare per molti mesi l' erogazione di queto fondo, perchè l' erario non sapeva dove attingere questo denaro. Lo stesso monsignor De Sanctis proseguiva, scrivendo che  ""in Camera" (tesoreria) "non c'era un pavolo" e che il deficit dell' erario ammontava a duecentomila scudi

 l'anno. Nel Settembre si tentò di interessare alla questione il Monte di Pietà di Roma, che doveva fare un' anticipazione di cassa, e la somma sborsata sarebbe rientrata nelle casse del Monte di Pietà in quattro anni in ragione di venticinquemila scudi l' anno, in virtù dei denari proveniente dall' appalto del gioco del lotto. Però i consiglieri del Monte non credettero opportuno elargire questo prestito perchè lo ritenevano non vantaggioso per le casse dell' ente.  Nel gennaio del 1742, a quasi un anno dal sisma, l'appalto del lotto ancora non era stato aggiudicato e di  conseguenza i fondi non erano ancora stati distribuiti ai vari comuni colpiti dal  sisma. A questo punto molti cittadini, che attendevano un qualche sussidio, seguirono il consiglio degli agenti e dei protettori di Roma: "...a parlar chiaro se codesta Comunità non provvede con la propria borsa... e non provvedono gli abitanti stessi con le loro sostanze e sperano di avere quattrini di qua, staranno certamente un pezzo". Quanto sopra è scritto in una lettera del De Rossi Adami inviata alla comunità di Fabriano. Dello stesso tenore è lo scritto dello abbate Giuseppe Bufera, dove relaziona, ciò che il pontefice Benedetto XIV  gli ha detto. La lettera viene conclusa con il consiglio che: " intanto il comune faccia da sè, aiuti i poveri, si raccomandi a Dio, non si fondi su le speranze, cosa che molte volte non riesce." Facendo dei sacrifici, e servendosi dell' opera di due bravi architetti, checchè se ne dica ai giorni nostri, e cioè del luganese Pietro Loni e dell' oblato camaldolese Giuseppe Antonio Sorattini, si riuscì a ricostruire ciò che il sisma aveva danneggiato: i ponti furono riparati un anno dopo nel 1742, nello stesso anno, usando i propri mezzi finanziari, l' Abbondanza provvide a sistemare i danni che il sisma aveva arrecato ai suoi magazzeni, le trentadue botteghe dei fabbri situate sul lato detro della piazza del mercato vennero restaurate entro il 1745, i locali del Monte di Pietà vennero restaurati tra il 1574 ed il 1757; il restauro, invece, del palazzo pubblico si trascinò fino al 1779, trettotto anni dopo il sisma. La ultima rata per il restauro del palazzo vescovile, del seminario e del Monte di Pietà venne pagata nel 1754.

I tempi cambiano, i governi cambiano, ma la burocrazia è sempre la stessa. Come nel 1741 il governo centrale dello stato pontificio con sede a Roma aveva deliberato un sussidio di centomila scudi da ripartirsi tra tutti i comuni colpiti dal sisma,  che hanno tardato molto ad essere erogati, così nel 1997 il governo centrale della repubblica italiana ha deliberato dei sussidi straordinari, che ancora a due mesi dall' evento non sono stati erogati. Esistono solo sulla parola e sulla carta. Addirittura, come nel 1741,  per ricostruire bisognava attenderele direttive ed i provvidimenti del governo centrale e non si doveva fare alcun passo senza il suo esplicito ordine, così oggi dopo due secoli e cinquantasei anni, vigono ancora le stesse direttive: per la ricostruzione delle abitazioni danneggiate e rese inagibili  dal sisma bisogna attendere  l' ordine esplicito e le direttive del governo centrale. I tempi cambiano, ma il modo di fare è sempre lo stesso.

 

BIBLIOGRAFIA

Minuta in miscellanea alfabetica, volume 1336, arch. comunale di Fabriano.

Deliberazioni della Comunità sulla ricostruzione e sulla protezione divina (Riformanze vol. 121, c.9).

R. Sassi : Documenti Fabrianesi sul Terremoto del 1741.


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