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Fabriano 1798-99

La reazione del popolo al dominio napoleonico

 

 di Gaia Germoni

 



 

L’avvento napoleonico in Italia

 

L’esercito, negli anni della rivoluzione francese, era diventato un importantissimo strumento di mobilità sociale. Tra i suoi componenti di spicco fu la figura di Napoleone Bonaparte che, dopo la morte di Robespierre, si distinse nella soppressione dei moti controrivoluzionari.

Bonaparte organizzò poi un colpo di stato insieme ad esponenti delle correnti moderate, con l’intento di salvaguardare i risultati ottenuti dalla rivoluzione francese minacciati dalle correnti più radicali sia di destra che di sinistra[1]. Fu col pretesto di sventare una congiura giacobina che Napoleone prevalse sul consiglio degli anziani e sul consiglio dei cinquecento. Nel 1799 prese il potere alla guida della Francia insieme a Sieyès e Ducos. Nello stesso 1799 entrò in vigore la nuova costituzione. Il potere venne concentrato  esclusivamente nelle mani del console, lo stesso Napoleone, e le due assemblee legislative che vennero istituite in quel periodo non ebbero un effettivo potere di proporre leggi. Si ebbe dunque un processo di centralizzazione statale con lo scopo di tutelare le conquiste della rivoluzione francese, soprattutto a livello economico e giuridico. Napoleone ebbe un successo enorme tra il popolo francese poiché intenzionato ad assicurare un periodo di pace, cosa fortemente desiderata da tutti dopo il caos della rivoluzione[2].

Bonaparte già nel 1796 era stato proclamato comandante in capo d’armata d’Italia. Nel 1797 la campagna d’Italia portò Napoleone alla conquista di Milano e Venezia. Venne poi stipulato con l’Austria il Trattato di Campoformio (1797), con cui l’Austria riconosceva la Repubblica Cisalpina fondata da Napoleone. Quando l’esercito Napoleonico scese in Italia si ebbe la caduta dei vecchi governi. Al loro posto vennero fondate delle repubbliche, tra cui la Cisalpina e quella Romana, di cui Fabriano faceva parte. Le truppe francesi entrarono a Roma nel gennaio 1798, imprigionando papa Pio VI. Questa situazione si protrasse però per poco: infatti i Francesi, nell’aprile del 1799, vennero sconfitti dall’esercito austro-russo, abbandonarono l’Italia e caddero le repubbliche fondate da Napoleone. La presenza napoleonica in Italia non terminò tuttavia qui. Napoleone infatti nel 1800 ridiscese in Italia e, sconfitti gli Austriaci a Marengo, nel 1803 fondò  la Repubblica Italiana.

L’Italia venne stravolta profondamente dall’avvento napoleonico, in quanto vide cambiare la propria conformazione territoriale ed istituzionale; prima dell’arrivo di Napoleone l’Italia era infatti un territorio frammentato controllato dall’Austria. Tuttavia va considerato che gli italiani valutarono in modo diverso questi avvenimenti, vedendoli inizialmente dal punto di vista ideologico e poi  constatandone le drammatiche conseguenze materiali.

Secondo Indro Montanelli“L’influsso che la rivoluzione francese esercitò sull’Italia fu dapprima ideologico e limitato a quella pattuglia di intellettuali che erano gli unici in grado di intenderne i motivi”[3],infatti, per quanto scarsi ed isolati, i circoli di ispirazione giacobina a Roma erano in fermento intorno agli emissari di Parigi, tra cui il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte[4]. “Ma dal ’96 in poi le idee si presentarono sotto forma di Baionette che misero a soqquadro l’assetto politico della penisola ribaltandone il vecchio equilibrio e lasciandovi, anche dopo il loro ritiro,quei fermenti che di lì a poco avrebbero dato avvio ai moti risorgimentali”[5]. La spinta napoleonica è stata infatti violenta e non ha raggiunto per i mezzi utilizzati, gli obbiettivi che i post-rivoluzionari francesi si erano prefissi, salvaguardando e diffondendo le conquiste della rivoluzione francese, ma ha sicuramente costituito una base importante per gli avvenimenti storici di metà ‘800.

 

Fabriano prima del dominio francese

 

Ricordiamo innanzitutto l’appartenenza della città di Fabriano allo Stato Pontificio, fattore che influenzerà molto la reazione del popolo nei confronti dei dominatori francesi.

L’elemento caratterizzante la condizione fabrianese negli anni precedenti l’avvento francese è una profonda crisi economica della città. Crisi che indebolì fortemente il popolo rendendolo acile preda di nemici ed invasori. Fabriano stava attraversando un periodo di profonda decadenza: l’industria della carta, che aveva reso noto il nome della città in tutta Italia, era in declino. Basti pensare che le fabbriche  da 27 nel 1711 si erano ridotte a 8 nel 1777 e vennero poi ulteriormente diminuite a 2 dal 1778 al 1783. Inoltre il decreto di Clemente XI del 1703, che toglieva il compito alla città di rifornire l’esercito pontificio delle divise militari, aveva portato ad una inevitabile rovina delle concerie.

Per risolvere la situazione e risanare le finanze vennero tassati i luoghi pii, anche se ciò non fu apprezzato dalla chiesa, poiché mostrava troppo apertamente la condizione di benessere del clero rispetto alla povertà del resto della popolazione.

Le cause che hanno portato Fabriano, come tante altre città pontificie, alla decadenza , vanno ricercate nell’invasione spagnola, nei dazi sempre più alti e nella concorrenza con città più ricche e fiorenti. Bisogna poi considerare che lo statuto pontificio lasciava il più delle volte nel completo abbandono i comuni, i quali da soli si trovavano a dover risolvere grossi problemi.

In una situazione di questo genere è facile comprendere come fosse la popolazione fabrianese: povera, ignorante, analfabeta, superstiziosa . Una popolazione ingenua e facile preda di coloro che, negli anni a seguire, combatteranno per il predominio sulla città.

 

L’avvento napoleonico a Fabriano

 

Durante il V anno repubblicano, il 1797, Napoleone, dopo essersi impadronito di Pesaro e Ancona, marciò verso Macerata e Tolentino. Per contrastare  l’avanzata francese il 9 febbraio 1797 venne stipulato il  trattato di Tolentino, con il quale papa Pio VI rinunciò ad Avignone e alle legazioni di Romagna permettendo ai francesi di restare ad Ancona. Pagò inoltre, per fermare i nemici, una forte indennità di guerra. Tuttavia i francesi poco dopo sciolsero l’ accordo  approfittando della scomparsa del loro generale Duphot, diffondendo false accuse sulla sua morte. Con lo scioglimento del trattato fu inevitabile una dichiarazione di guerra da parte francese contro il pontefice. Nell’anno 1798 i francesi invasero Umbria e Marche, proclamandovi la Repubblica  Romana. Le Marche vennero allora suddivise in tre dipartimenti: quello del Metauro, quello del Tronto e quello del Musone, con centro a Macerata e di cui Fabriano faceva parte. Le truppe papali accorsero dunque a Fabriano nel 1797 guidate dal capitano Lomi e dal tenete Cantalamessa per fuggire ai francesi che avevano già occupato Senigallia, Urbino, Fano e Pesaro[6] .

Intanto Fabriano, dove si erano già diffusi ideali repubblicani, insorse. Non fu  infatti difficile per i repubblicani  far colpo sulla popolazione, ingenua ed ignorante, che vedeva gli invasori come una sorta di salvatori che avrebbero potuto cambiare la situazione di declino che  Fabriano stava vivendo. L’invasione della città era ormai prossima: i magistrati decisero allora di non opporre resistenza ma di mostrare ai francesi la propria gratitudine, visto che l’occupazione era ormai generale .Sin da subito vi furono moltissimi attentati agli ordini monastici. Il presidente della municipalità di Jesi, il Fioretti, impose la confisca dei poderi delle monache di Santa Lucia e dei Frati di San Biagio. Tuttavia Fabriano, ancora fortemente legata al pontefice, non obbedì a tali comandi. Questo provocò l’ira dei francesi, che inevitabilmente imposero alla città di destituire il vecchio governo e instaurare la Municipalità[7].

Intanto la popolazione fabrianese era  combattuta tra ideali nuovi e pieni di speranza e il vecchio governo pontificio, nel rispetto di una religiosità molto forte a cui tutta la popolazione era ancorata. A Fabriano il sentimento religioso era infatti un elemento di primo piano nella vita di tutti i cittadini, e la vita spirituale era regolata da veri e propri ordinamenti che indicavano alla popolazione le cerimonie liturgiche a cui si doveva partecipare. Un esempio di questo si ha negli obblighi religiosi, illustrati attraverso una minuziosa suddivisione per mesi dell’anno liturgico, presenti nella “Tabella degli obblighi, voti, devozioni, elemosine, ed altro, che deve soddisfarsi dall’illustrissima comunità di Fabriano”[8].

 

    Fig.1:tabella degli obblighi  religiosi dei cittadini fabrianesi  durante l’anno liturgico       

 

Le quattro municipalità

 

Il dominio francese a Fabriano fu un dominio instabile, continuamente soggetto a mutamenti e a contrattacchi dalla parte guelfa della città. Questo è testimoniato dal susseguirsi, in due anni, di quattro municipalità e dal continuo abbattimento degli alberi della libertà voluti dai francesi, che raggiunsero il numero di sei[9].

Venne quindi convocato un consiglio di sessanta membri, i quali  formarono  il nuovo governo. Non vi sarebbe stato problema se non per il fatto che i membri appena eletti appartenessero alla vecchia classe dominante, ostile quindi ai repubblicani. Fu eletto primo presidente del Consiglio Generale il  Vallemani, ma i contrasti tra vecchia e nuova forza furono talmente forti che quando egli si dimise, non fu affatto facile trovare un sostituto. La prima municipalità fu dunque di tendenze moderate e quindi ostile agli eccessi dei repubblicani. Questo è dimostrato dal fatto che venne diffuso un manifesto alla cittadinanza nel quale non si trovava alcuna traccia dei nuovi principi repubblicani, erano invece elogiati il rispetto della religione, della legge e della tranquillità della vita. L’ostilità del nuovo governo verso i francesi si fece sentire anche nel momento dell’innalzamento dell’albero della libertà ,che venne eretto con molto ritardo rispetto alle altre città. La stessa formazione di una Guardia Nazionale venne ritardata. A questi problemi si dovette dunque provvedere in modo serio. A tale scopo il 12 aprile il presidente di Macerata, Lauri, inviò a Fabriano una bandiera francese che venne subito esposta nel balcone del Comune. Venne poi innalzato l’albero della libertà in piazza Alta e si impose la coccarda romana, simboli del dominio francese e degli  ideali repubblicani[10]. Il popolo fabrianese intanto subiva passivamente il nuovo dominio, mentre i francesi depredavano i centri di culto tanto cari ad una popolazione di fedeli.Vennero infatti requisiti i beni delle chiese, anche se i municipalisti, per fare in modo che questo ordine non venisse eseguito, corruppero coloro che erano stati mandati per tale scopo. Questa offerta venne però rifiutata, e chiese e monasteri vennero privati dei loro beni. Elemento caratterizzante questo primo periodo fu dunque la forte ostilità verso i francesi opposta dalla vecchia classe dominante e dalla parte guelfa della città. A causa di queste ostilità preti e frati forestieri vennero espulsi dalla città, su comando dei francesi e delle autorità centrali. Inoltre i Francesi imposero ai ricchi un prestito forzoso e richiesero bestiame, argenti, grano ed altri beni, aggravando  così la già difficile situazione economica  della città, con conseguenze dirette sulla stessa popolazione che sperava nei repubblicani.

Inoltre a questa situazione si aggiunse il pericolo di disgregare l’unità del comune, nato in seguito alla volontà di distaccarsi da Fabriano dei castelli più vicini (Albacina, Cerreto, Collamato..), i quali aspiravano ad una nuova unione con altri comuni. Queste difficoltà vennero subito sfruttate dai rivoluzionari per un cambiamento del governo, ancora troppo ancorato ai vecchi ideali e ai vecchi interessi per poter soddisfare le aspettative dei francesi. La municipalità venne colpevolizzata di aver causato il distacco dei castelli, che si sarebbero sentiti esclusi dal governo del comune. Tale accusa si concretizzò  ancora meglio attraverso il ricorso di quarantaquattro cittadini contro la municipalità: accusarono il governo di aver escluso dall’esercizio del suo potere i rappresentanti del popolo.[11]

Il popolo dunque, oltre ad essere diviso tra il vecchio governo, che avrebbe difeso il culto religioso a cui era legato, e il nuovo potere repubblicano, era al tempo stesso adirato contro una municipalità instabile che non aveva lasciato spazio ad una sua rappresentanza.

Il Consiglio Generale era infatti composto da ex nobili che avevano sempre avuto influenza sull’estinto governo aristocratico. Il popolo chiedeva che venisse scelto come nuovo presidente Oliviero Ronca e che nella nuova municipalità venissero rappresentati anche artigiani ed altri cittadini. Per contrastare l’azione del Ronca la municipalità mandò  a Roma un memoriale spietato  contro di lui. Il tentativo però di contrastarlo fu inutile e il 5 maggio venne eletta la nuova municipalità  presieduta, appunto, da Oliviero Ronca.

 Ecco dunque che il popolo si sentì nuovamente preso in considerazione, ignaro però che sia i rivoluzionari sia il vecchio ceto, perseguivano soltanto fini personali utilizzando il popolo per avere consensi.
Anche questa volta però i membri eletti appartenevano quasi tutti alle 37 famiglie più antiche e ricche del comune e anche questa volta vi furono continui dissidi tra i membri del comune che si ripercossero sul popolo creando un opprimente clima di tensione.
La città e le sue frazioni furono preda di furti e risse. Intanto coloro che erano rimasti fedeli al vecchio governo provvidero ad influenzare i deboli animi del popolo, che stava amaramente constatando che le sue speranze erano soltanto illusioni. Dunque facilmente nacquero disordini e sommosse contro gli stessi francesi. Alcuni si tolsero la coccarda romana con segno di disprezzo e fu inoltre abbattuto l’albero della libertà[12].

I francesi ristabilirono però l’ordine, i cittadini vennero convocati a rispetto della legge e l’albero della libertà venne ricollocato nella piazza centrale . A causa di questi disordini  il potere francese si fece più autoritario e severo. Un esempio di ciò si riscontra nell’arrivo a Fabriano del prefetto Romualdi, il quale ordinò ai capi della religione di togliere da tutte le chiese gli stemmi e le lapidi. Inoltre i francesi, come per punire il tradimento fatto dal popolo fabrianese , disturbarono in tutti i modi la processione di San Giovanni Battista, patrono della città. Gli ufficiali a cavallo si mescolarono ai religiosi ed insieme ai soldati dileggiavano il rito con grande scandalo di tutta la popolazione[13]. Inoltre in tutto il biennio francese le processioni tanto care al popolo non vennero più organizzate con la maestosità che avevano prima. Questo è evidente attraverso la consultazione dei documenti relativi al culto nella città. I manoscritti contenenti le disposizioni per la decorazione delle processioni religiose subiscono una interruzione proprio per quanto riguarda gli anni 1798-99, e da ciò si può dedurre l’imposizione francese al ridimensionamento del culto religioso[14] .

A causa di questi disordini intervenne nuovamente il prefetto  Romualdi, installò a Fabriano una nuova municipalità composta, questa volta, da elementi più rosseggianti e  presieduta da Romualdo Ronca. Nel frattempo però  la municipalità dimessa si era appellata al Ministero dell’interno, che ordinò subito al Prefetto Consolare di Matelica, Filippo De Santis, di ripristinare il potere[15].

In questo periodo dunque i francesi , visti i  precedenti disordini, controllarono Fabriano in modo austero, tant’è vero che le porte della città erano così rigorosamente vigilate che se si voleva fare una passeggiata a cavallo, anche di pochi chilometri, bisognava essere muniti di passaporto[16].

A questa fase successe poi un periodo in cui la popolazione si schierò nettamente dalla parte del vecchio potere. Il Re di Napoli Ferdinando IV, con l’intento di cacciare i francesi, aveva organizzato un esercito che si scontrò con le truppe napoleoniche presso Fermo, uscendone però sconfitto. Giunse quindi da Macerata l’ordine di festeggiare la  disfatta dell’esercito napoletano[17]. Ma continui proclami giungevano non solo da Macertata ma anche da Roma, intimando e spingendo sempre più la popolazione in uno stato confusionale. Infatti mentre Roma incitava il popolo alla lotta contro i francesi, i repubblicani continuavano senza tregua ad esercitare la loro autorità, sopprimendo ogni tentativo di rivolta. Inoltre giunse l’ordine da Macerata di togliere dalle chiese alcune immagini sacre e le vie della città cambiarono le loro vecchie denominazioni con altre di stampo repubblicano. Gli abitanti della città erano intanto sempre più spaventati dagli scempi dei francesi e molti cittadini preferirono abbandonare le loro case per andare a vivere nella più tranquilla campagna.

Inoltre i fabrianesi furono vittime di un rincaro dei prezzi: il comune aveva infatti bisogno di  soldi e per ridurre il più possibile le spese vennero aboliti gli stipendi di maestri e medici e,  di conseguenza coloro che volevano usufruire di questi servizi dovevano provvedere personalmente al pagamento, e ciò , nella difficile situazione economica  precedentemente ricordata, era molto difficile.

Inoltre, per aumentare la solennità delle feste repubblicane, fu ordinato ai contadini di Santa Maria del Campo di trasportare con i loro carri un bellissimo cipresso in piazza Alta per farvi un sontuoso albero della libertà. L’albero della libertà avrebbe avuto un basamento fatto con i marmi dell’Altare Maggiore di San Biagio e sarebbe stato ornato con i fregi della facciata di San Benedetto. Molti fra le stesse autorità furono contrari a questo, ma il comandante Corradini si impose su tutti facendo innalzare l’albero. Il 13 febbraio 1799 circa 300 cittadini ordirono una congiura per uccidere Corradini, ma il piano fallì e il comandante francese continuò  a perpetuare un’inaudita violenza contro i ribelli. Il popolo non fermò comunque la protesta contro Corradini, chiedendo alla sede di Macerata l’apertura di un’inchiesta.  Poco dopo Paolo Spadoni, uno degli amministratori della centrale, giunse a Fabriano, e riconobbe  Corradini colpevole di alcuni incresciosi fatti avvenuti nella città .

Venne poi ordinata la dimissione della municipalità e ne venne nominata una nuova, presieduta da Pietro Miliani[18].

Ma oramai tanto era il rancore da parte sia del popolo sia degli esponenti della parte guelfa nei confronti di un dominio oppressivo e violento che, mentre i francesi continuavano le loro azioni di controllo della città, gli oppositori dei repubblicani iniziarono ad organizzarsi occultamente per realizzare la caduta della repubblica.

Nello stesso 1799 venne emanata dal Capo dell’armata francese a Roma la Carta Costituzionale. Questo avvenimento non venne compreso dal popolo, il quale oramai aveva nuovamente dato il proprio appoggio alla vecchia classe dominante. Per comprendere meglio il clima di questo periodo è interessante la riflessione fatta da Onofrio Angelelli nella sua storia del periodo napoleonico a Fabriano dal titolo “Fabriano  e il dominio francese nel 1798-99”: a suo parere “La nuova costituzione arrivò tra il popolo come un’immensa lampada sfolgorante di luce, di cui  non poteva immediatamente sostenere la   vista per l’abbaglio prodotto, e comprendere subito la grande importanza civile e sociale.  Non deve sorprendere quindi se il popolo si piegava verso gli antichi dominatori, sostenitori interessati di un passato obbrobrioso , i quali con tutti i mezzi cercavano di utilizzare l’ignoranza e la superstizione del popolo, onde rinsaldare le catene della schiavitù ed abbattere la rivoluzione”[19]. I Guelfi intanto insorsero. La loro truppa, dopo aver occupato Camerino, si diresse verso Fabriano. L’albero della libertà venne abbattuto sotto le grida di “Viva il Papa, Viva l’Imperatore!”. I Generali De La Hoz e Cellini dichiararono restaurato il governo monarchico nel  nome di re Ferdinando IV di Napoli. Vennero organizzate truppe per la liberazione di  altri centri, tra cui Gubbio e Jesi e molti giacobini vennero arrestati e processati[20].

La resistenza francese non si fece tuttavia attendere e giunse la notizia  a Fabriano che il generale Monier si apprestava a giungere nella città con 1500 uomini al suo seguito.

Ed è proprio nella reazione a tale notizia che si vide fino a qual punto il popolo fabrianese  fosse debole, solo e dimenticato sia dalle vecchie che dalle nuove autorità. Infatti appena giunse la notizia della reazione francese, gli insorgenti delle contrade vicine si dileguarono e i fabrianesi rimasero ,da soli, a difendere la città. Gli stessi nobili e guelfi scapparono e il popolo fu abbandonato a se stesso.

I francesi si organizzarono dividendosi in tre colonne: una verso Campodiegoli per riuscire a Marischio. Un’altra verso Valleremita per conquistare San Silvestro, i Monticelli e Collepaganello. Un’altra ancora verso Cancelli. Fabriano era stretta in mezzo a tre fuochi[21].

I fabrianesi difesero la loro terra come dei veri eroi anche se per un attimo pensarono, scarseggiando le munizioni e essendo deboli gli aiuti, di ritirarsi verso le campagne. Tuttavia decisero di rimanere in città. Resistettero però per poco, visto che in breve tempo i francesi attaccarono la città in tutti i lati. Vennero attaccate Porta del Borgo, Porta del Piano  e Porta Cervara e il popolo fabrianese non resistette per più di otto ore.

Vi fu allora un dannosissimo saccheggio della  città. Vennero incendiate le case coloniche, le Porte del Piano e del Borgo, ed anche il Convento dei Cappuccini venne distrutto. Anche di archivi e biblioteche non si ebbe più traccia[22].

Sfogliando il registro dei “Danni del saccheggio del 27 giugno 1799” ci si rende conto dei danni economici portati dall’avvenimento, danni che ammontano ad un totale di 333.884 scudi, pari a 1.76.056 lire, in più venne imposto un pagamento di 10.000 piastre. Il registro riporta in modo dettagliato i danni subiti dalla città elencandoli in base alle parrocchie, ai conventi, ai monasteri etc..[23]

 

 

  Fig.2:copertina dei “Danni  del  saccheggio del 27 giugno1799” 

 

  Fig.3:parte del lungo elenco dei danni portati dal saccheggio del 1799

 

 

Ma il documento che sicuramente ci mostra al meglio l’intera vicenda, dall’entità dei danni del saccheggio, al coraggio con cui i fabrianesi hanno affrontato i francesi, è il “Liber Luguberrimus”. Questo manoscritto mostra i periodi bui della storia fabrianese, e dunque, parte di esso è dedicata all’episodio della lotta contro i francesi. Nella carta 67 si legge come Fabriano“Senza nessuna guida, in poco numero, e senza artiglieria, pure si espose a far fronte all’Esercito Francese”. Sempre nella stessa carta è descritto il momento della lotta vera e propria in cui il popolo “Fece fuoco per più ore, e resistette più che potè, ma dovette cedere alle ostili forze di gran lunga superiori”[24]. Ma il Liber Luguberrimus oltre a raccontare il coraggio di un popolo che ha  combattuto fino alla fine per difendere la propria città, ci mostra anche il lungo e lugubre elenco delle persone rimaste uccise durante gli scontri del 27 giugno 1799 [25].

 

 

  Fig 4:parte dell’elenco delle vittime degli scontri

 

  Fig5:Carta 67 del Liber Luguberrimus in cui è narrata la lotta del popolo fabrianese contro le truppe nemiche

 

 

Il saccheggio di Fabriano fu un avvenimento che scosse molto gli animi del popolo fino al punto che si manifestarono vere e proprie scene di panico. Una sera si cominciò a gridare che nella chiesa di San Venanzo la Madonna Del Pianto muovesse gli occhi . Il Vicario allora fece ricoprire la Madonna[26].

Poco tempo dopo il capo degli insorgenti di Sassoferrato scrisse alla municipalità di Fabriano di ripristinare il governo monarchico e di togliere l’albero della libertà. Intanto Macerata aveva restaurato il governo Pontificio. Questa volta però i fabrianesi, spaventati dall’esperienza precedente, agirono con più cautela. Girolamo Possenti ricevette l’incarico di ripristinare il nuovo governo di Fabriano. Gli ecclesiastici precedentemente espulsi vennero richiamati in città e i luoghi pii vennero ripristinati[27].

Ecco dunque che in breve tempo il dominio francese venne soppiantato e la situazione tornò alla normalità. Il popolo fabrianese non aveva però guadagnato nulla. Infatti si ripeté la stessa situazione degli anni precedenti: il popolo si trovò in una condizione difficile, di abbandono e precarietà, soggetto a molte vessazioni finanziarie.

 

Conclusione

 

La situazione del popolo fabrianese è stata in questi anni critica. I fabrianesi credevano nei repubblicani per poter migliorare le proprie condizioni di vita che erano precarie a causa della crisi economica che Fabriano stava vivendo. Ma non si raggiunsero affatto i risultati sperati: il popolo fabrianese negli anni del dominio napoleonico si trovò infatti in una situazione di disorientamento, oscillando tra potere antico e potere nuovo, continuamente preda delle ambizioni politiche dell’una e dell’altra parte,  privo della consapevolezza e delle conoscenze necessarie a comprendere che sia il potere aristocratico che quello repubblicano, volevano da lui soltanto una base di appoggio politico. Il popolo fabrianese è stato manovrato da ambe le parti e non è riuscito  a comprendere i valori della repubblica. A questo proposito la colpa va data tuttavia agli stessi francesi, come ci dice l’Angelelli: ”E’ questo il danno morale che producono gli esaltati di tutti i tempi in tutte le migliori iniziative politiche e morali, ed anche allora, per gli eccessi che si succedevano agli eccessi, le nuove idee non poterono penetrare ed essere comprese dal popolo come sarebbe stato necessario per consolidare le nuove istituzioni democratiche”[28]. La colpa del fallimento della repubblica va quindi data sia al  popolo,incapace di comprendere i nuovi valori ,sia ai francesi, che, a causa dei loro metodi, non hanno saputo ottenere l’appoggio dei fabrianesi. E a questo proposito riportiamo il testo di due poesie ritrovate nell’archivio Oliviero Benigni dall’Angelelli, poesie che descrivono l’Albero della Libertà [29] : la prima descrive l’albero visto con gli occhi dei repubblicani, la seconda ne è una risposta in chiave satirica. La lettura delle due poesie ci aiuta a comprendere come gli ideali repubblicani non siano stato compresi dal popolo.

 

 

 

 

      

              DESCRIZIONE DELL’ALBERO                                        RISPOSTA PER LE RIME

              DELLA LIBERTA’

 

             Questa è l’ara,quest’è il Nume                                             Questa è l’ara,quest’è il Nume

             Su giurate cari amici                                                            Deh venite amici cari

             Di godere i dì felici                                                               Con li vostri Tafanari

             Che godea l’antichità.                                                          A incensar la Libertà.

             Di natura il bel costume                                                       Su venite, e poi cacate,

             Si ripigli, e sia tal’atto                                                         Che profumi si odorosi

             Sacro rito , e fermo patto                                                     Son i doni più preziosi

            Di civile Società.                                                                   D’una tal Divinità.

 

            Ma nel dare poi la fede                                                        Offerte ad Dio novello

           Sia ciascun sincero, e puro                                                    Con un rito inositato

           Sia reale, e sia sicuro                                                             Cento corna di castrato

          Che felice appien sarà.                                                           Di primiera qualità.

 

           Che se mai talun si crede                                                      Ma nel grande Sacrificio

           Profanare il sacro invito                                                       Per pietà non vi scordate

           Questi esclude il nostro rito                                                  Quattro corna a me lasciate

           Perché reo d’infedeltà.                                                         Per la mia centralità.

 

 

 

 

A mio parere va comunque sottolineata, oltre questi aspetti, una incompatibilità di fondo tra  gli ideali repubblicani e la Fabriano di quegli anni. Una popolazione assoggettata da lungo tempo al dominio della Chiesa e contraddistinta da una smisurata fede, non avrebbe potuto in ogni caso, seppur colta e forte, lasciar spazio e dei dominatori che ponevano i lumi della ragione ad un livello superiore rispetto alla sfera religiosa.

Infine bisogna constatare che sono stati proprio questi avvenimenti,con particolare riferimento alla dura lotta del popolo contro i francesi durante il saccheggio,  a dare inizio al processo che porterà il popolo fabrianese a prendere coscienza di sé.

 


 

Bibliografia edita

 

-O.Angelelli, Fabriano e il dominio francese del 1798-99,Fabriano, 1925

-I.Montanelli, Storia d’Italia, RCS libri, 1998, edizione speciale Corriere della sera

-A.Lepre,La storia, Zanichelli, Bologna, 1999

-R.Sassi, Vita fabrianese a cavallo di due secoli. Spigolature di cronaca locale, Fabriano, 1956

 

Bibliografia inedita

 

-ascf,Tabella degli obblighi, voti, devozioni, elemosine , ed altro, che deve soddisfarsi

dall’illustrissima comunità di Fabriano, sezione cancelleria, cerimoniali sacri,n.1,1799

-ascf , sezione cancelleria, culto, n.6, 1724-1802

-ascf, Danni del saccheggio dei francesi (1799), sezione cancelleria, calamità pubbliche, n.7, fascicolo n.7, 1799

-ascf, Liber Luguberrimus, sezione cancelleria, calamità pubbliche, n.2, 1799


 


 

[1] Cfr I.Montanelli, Storia d’Italia, Vol.4, RCS libri, 1998, edizione speciale Corriere della sera,p.13

[2] Cfr A.Lepre, La storia, Zanichelli, Vol.2, Bologna, 1999,p.437-440

[3] I.Montanelli, Storia d’Italia, p.9

[4] ibidem,p.51-52

[5] ibidem,p.9

[6] Cfr O.Angelelli, Fabriano e il dominio francese del 1798-99, 1925, p.14-15

[7] ibidem,p.19-20

[8] Archivio storico del comune di Fabriano (ascf), Tabella degli obblighi, voti, devozioni, elemosine ed altro, che deve soddisfarsi dall’illustrissima comunità di Fabriano, sezione cancelleria, cerimoniali sacri, n.1, 1779

[9] Cfr R.Sassi, Vita fabrianese a cavallo di due secoli. Spigolature di cronaca locale, Fabriano, 1956,p.25

[10] Cfr O.Angelelli,  Fabriano e il dominio francese del 1798-99,p.50

[11] ibidem, p.47

[12] Cfr O.Angelelli,Fabriano e il dominio francese del 1798-99,p.27

[13] ibidem,p.31

[14] ascf,sezione cancelleria, culto,n.6, 1724-1802

[15] Cfr O.Angelelli. Fabriano e il dominio francese del 1798-99, p.35-36

[16] ibidem, p.42

[17] Cfr O.Angelelli,Fabriano e il dominio francese del 1798-99,p.42

[18] Cfr R.Sassi, Vita fabrianese a cavallo di due secoli. Spigolature di cronaca locale, Fabriano, 1956,p.22-25

[19] O.Angelelli,Fabriano e il dominio francese del 1798-99, p.47

[20] ibidem,p.50

[21] ibidem,p.53

[22] ibidem,p.56

[23] ascf, Danni del saccheggio dei francesi (1799), sezione cancelleria, calamità pubbliche, n.7, fascicolo  n.7, 1799, c1r, c2r

[24] ascf, Liber Luguberrimus, sezione cancelleria, calamità pubbliche, n.2, 1799, c67r

[25] ibidem,c94 r/v

[26] Cfr O.Angelelli, Fabriano e il dominio francese del 1798-99, p.64

[27] ibidem,p.68

[28] ibidem,p.33

[29] ibidem,p.105

 


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