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Padre Don Ambrogio da Marischio

Eremita Camaldolese di Montecorona, morto in fama di santità

 

di Euro Puletti

 

 

Il Padre Don Ambrogio da Marischio di Fabriano, monaco coronese dell’Eremo di Monte Cucco, morto in fama di santità nel 1900, e sepolto nel cimitero di Pascelupo, nacque a Marischio (o, secondo altre fonti, a Cerèsola) di Fabriano, “verso la seconda ora di notte del 22 aprile del 1822, dal contadino Eusebio e da Maria Regno nativa di Val Romita (‘Valleremita’)”. Il Battesimo gli fu impartito, il dì seguente, nella chiesa parrocchiale di Marischio, dal Reverendo Don Domenico Valenti, Parroco di Varano, che gli impose il nome di Nicolò, in memoria del suo già defunto padre, che aveva portato il medesimo nome. A sei anni, il 26 maggio del 1828, nella Chiesa Cattedrale di Fabriano, gli fu conferito il Sacramento della Cresima dall’allora Vescovo Diocesano, Monsignor Pietro Balducci.

Pascelupo (PG),

Eremo di Montecucco

Manifestatasi fortemente, ed assai per tempo, in lui, la vocazione alla vita consacrata, fu all’Eremo di San Girolamo di Monte Cucco che il nostro giovane Nicolò apprese a conoscere la vita monastica, e, proprio lì, che vi si innamorò perdutamente. Chiese, perciò, di essere accolto nella famiglia monastica di San Girolamo, che lo accettò nell’autunno del 1843. Fu, dunque, a vent’anni che egli incominciò il suo noviziato. Dopo i quaranta giorni del postulato di rito, il 1° gennaio del 1844, venne, con sua indicibile gioia, rivestito delle candide lane dei Camaldolesi, e, secondo l’usanza monastica, mutò il proprio nome secolare in quello, religioso, di Frate Ambrogio. La sua vita religiosa fu, in tutto e per tutto, esemplare, ed egli fornì mille esempi delle più sublimi virtù d’un consacrato, unite ad una stoica costanza, che avrà termine solo con la morte. Dopo i due canonici anni di prova, il 1° gennaio del 1846 fu ammesso, a pieni voti, alla professione solenne. Dopo la professione, fu inviato all’Eremo coronese di Monte Cònero, presso Ancona, per attendere allo studio della Sacra Teologia. Ottenne, quindi, l’ordinazione sacerdotale dal Cardinale Antonio Maria Cadolini, Vescovo di Ancona, nella cappella del suo Episcopio, il 30 dicembre del 1849. Il primo gennaio dell’anno successivo, poi, attorniato ed assistito dai suoi confratelli, diceva la sua Messa novella nella chiesa romanica di San Pietro all’Eremo del Monte Cònero.

Lui non lo sapeva ancora, ma sarebbero stati ben cinquanta gli anni, cui lo destinava la sua missione sacerdotale, in differenti eremi della Congregazione, nei quali rivestì, di volta in volta, le cariche di Priore, Maestro dei Novizi, e Cellerario. Dove, però, dimorò più a lungo, e con maggiore trasporto, fu all’Eremo della sua giovinezza: quello di Monte Cucco. Qui avrà sede per ben trentasei anni. Dal 1852 al 1882 eserciterà, senza interruzione alcuna, la mansione di Cellerario, cioè di amministratore delle cose temporali. Poi, dal 1884 all’’86, e dal 1896 fino alla morte, vi servirà in qualità di Priore. Fra le sue tante virtù, esercitate, davvero, in maniera eroica, vi furono: lo spirito di preghiera, e di mortificazione (nel suo letto fu trovata una disciplina di ferro), l’amore per la vita ritirata, e per il silenzio, la mortificazione degli occhi, l’amore del lavoro, lo zelo per la Gloria di Dio, l’amore verso il prossimo, la fede e la fiducia in Dio. Il 1° gennaio del 1900, ben cinquantaquattro anni dopo la sua Professione monastica solenne, celebrerà, ufficialmente, P. D. Ambrogio, il suo giubileo d’ordinazione sacerdotale, ovverosia le sue nozze d’oro con Dio. Durante la domenica di Pasqua, volle egli celebrare la Messa conventuale solenne, che sarà l’ultima della sua vita. Nella notte tra il giovedì ed il venerdì di Pasqua, gli fu recato il Santo Viatico ed amministrata l’Estrema Unzione, che egli accolse con grande pietà e devozione. Mentre, poi, in coro, si cantavano le Laudi, durante l’inno “Benedicte omnia opera Domini Domino”, egli rese la sua anima grande a Dio. Era il 20 aprile 1900, ed egli contava, allora, 78 anni di età, meno due giorni. Le leggi del Regno d’Italia non permisero, però, che la sua sepoltura, come avrebbero desiderato tutti i suoi confratelli, avvenisse sotto al pavimento della chiesa dell’Eremo; egli fu così inumato nel cimitero comunale di Pascelupo, scortato da uno stuolo di folla orante e commossa. Dopo dodici anni, le sue sparse ossa furono raccolte in una cassa di legno e zinco, e ricollocate vicino al muro dello stresso camposanto, presso il cancello, ed a sinistra di chi entra. I prodigi, legati alla sua santa intercessione presso Dio, non mancarono di manifestarsi, tanto in vita quanto in morte. Essendosi scatenato un grande incendio, che aveva attaccato la vicinissima Macchia di Costacciaro, incendio che durava da ben due giorni, e minacciava di estendersi al fienile del Romitorio, e a tutti gli edifici che lo componevano, il Padre Priore, dopo lungo invocare, in chiesa, l’intervento divino, impartì, al Mattutino, la benedizione dalla loggia dell’Eremo, e, la mattina seguente, tutto era cessato. All’avviare una botte di vino novello, il Cellerario s’accorse che questo era andato a male, e risultava, quindi, del tutto imbevibile. In piena disperazione, il Cellerario si rivolse, allora, al Priore, il quale pensò sùbito che bisognava fare qualcosa, perché, altrimenti, i poveri non avrebbero potuto avere neppure una minima parte di quel vino. Così, si mise a pregare, e, pregando, il vino, da imbevibile qual era, tornò sanissimo, e perfettamente gradevole da bere. Un monaco, che, da svariati anni, per lancinanti dolori reumatici, non poteva più camminare, invocato il P. D. Ambrogio, si portò celermente al cimitero di Pascelupo, e, altrettanto facilmente, fece ritorno all’Eremo. Il nome Nicolò deriva dal greco e significa ‘vincitore’, e, vincitore, Padre Don Ambrogio lo fu veramente, poiché si conquistò, con l’aiuto di Dio, ma con le sue proprie forze, un meritatissimo ingresso nel Regno dei Cieli.

 


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